S u Twitter un anonimo ieri ha fatto circolare una vignetta che è allo stesso tempo realistica, geniale e terribilmente feroce. Una fotografia perfetta di questa guerra combattuta sulla pelle dei bambini. In primo piano ci sono due soldati visti di profilo, nelle loro postazioni, uno con la bandiera di Israele cucita sulla divisa, uno con la fascia di stoffa nera di Hamas avvolta intorno alla fronte. I due si fronteggiano puntandosi il fucile l’un l’altro, dalle rispettive trincee: solo che, guardando bene, ci si rende conto che non sono davvero due trincee contornate dalla sagoma del loro filo spinato.

L o sembrerebbero a prima vista, invece sono due culle, circondate dal profilo tubolare dei rispettivi manubri. Nel giorno in cui rintocca l’orario in cui scade l’ultimatum per l’attacco annunciato da Tel Aviv, purtroppo ci sono davvero i bambini a dividere idealmente un fronte che è segnato dalla linea sempre più stretta che oggi separa Israele da Gaza. I corpi dei minori sono diventati il primo campo di battaglia di questa guerra. Giovedì i corpi dei piccoli israeliani mostrati al mondo dal premier Netanyahu, immortalati nelle immagini orroririfiche dei cadaverini affogati nel sangue delle loro culle. E poi ci sono arrivati in video i corpi dei minorenni in ostaggio, gli sguardi di terrore dei piccoli che sono in mano ai tagliagole assassini di Hamas. I terroristi hanno esibito consapevolmente al mondo tutto il loro sadismo criminale: torture psicologiche, riti di sottomissione, ferocia dissimulata malamente dietro sorrisi di vetro. La propaganda si mangia l’informazione, la brutalità del male ci assedia. Non riesco a togliermi dagli occhi nemmeno il primo piano del cittadino irlandese, sorpreso dai terroristi in un kibbutz, che raccontava con il volto rigato dalle lacrime: “Quando mi hanno detto che mia figlia era morta sono stato felice”. Spiegava, subito dopo, di preferire questa ferale notizia all’idea di una bambina rinchiusa in un buco, torturata, affamata.

Infine, nelle ultime ore, sono arrivate le testimonianze delle incolpevoli vittime di Gaza, che in queste ore sono sotto il fuoco delle bombe: il 40% sono minorenni. E su tutti i reperti si impone lo strazio di uno dei video apparentemente meno cruenti, ma in realtà più profondamente choccante. È circolato su tutti i telefonini di Gaza, prima di arrivare a noi, ed è quello che comunica meglio di tutti lo strazio di questo conflitto. In uno stanzone affollato, affiancati su una barella improvvisata nell’ospedale di Shifa, nel cuore della striscia, sono ripresi un padre e un figlio che si parlano sdraiati. Il figlio non ha più un frammento di carne integra, sul volto, ed è una mummia di garze, bendato in quasi tutto il corpo. Il papà è riverso su una barella al suo fianco, anche lui con gli arti bendati, per effetto della bomba che ha colpito entrambi. Il padre del ragazzo non ha più la mano, solo un moncherino fasciato. Piange, mentre accarezza il piccolo, con quel che resta del suo braccio. Il figlio non vede nulla, ma lo sente, avverte il dolore che quel contatto e quelle lacrime gli trasmettono. Tra le bende capisce la disperazione del genitore e gli dice: «No, papà, non avere paura papà, sii forte: guarda che io sto bene…».

“La crociata dei bambini”, è un verso di Bertolt Brecht che è diventato un romanzo di Ray Bradbury, e poi un a famosa canzone dell’ex leader dei Police, Sting. Oggi è il nostro titolo. Se mai fosse necessario, il gesto di quel padre, ci dice che le parole del sottosegretario di Stato Anthony Blinken, in viaggio in Medio Oriente, sono una speranza possibile: «Noi democrazie ci distinguiamo dai terroristi perché cerchiamo di applicare a ltri standard, anche quando è difficile. Questo - spiega Blinken - è il motivo per cui è così importante prendere ogni precauzione possibile per evitare di far male ai civili». Nel giorno in cui scade l’ultimatum qualsiasi gesto possa avvicinarci a quel che dice Blinken è il gesto giusto per salvarci dalla barbarie.

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