I l 2022 è stato l’anno in cui la popolazione cinese ha smesso di crescere, mentre il 2023 sarà ricordato come quello in cui avverrà il sorpasso demografico dell’India sulla Cina. Secondo i dati pubblicati di recente dall’Ufficio nazionale di statistica cinese, infatti, nel 2021 ci sono state 10,6 milioni di nascite, 1,4 milioni in meno rispetto all’anno precedente.

P er cinque anni consecutivi la crescita della popolazione è rallentata e l’anno scorso il numero di decessi, pari a 10,1 milioni, si è avvicinato a quello delle nascite, suggerendo che la popolazione potrebbe iniziare a ridursi già da quest’anno. Sarà il primo calo della popolazione cinese registrato negli ultimi 60 anni, che avrà gradualmente il suo impatto sulla forza lavoro e sulla crescita economica potenziale, aprendo una nuova fase per l’economia e per la politica cinesi. Parallelamente al ristagno della popolazione, l’anno appena trascorso è stato anche quello di avvio del ristagno economico del Sol Levante. Esso si è chiuso con una crescita di appena il 3%, ben al di sotto del target iniziale del 5,5% definito da Pechino. Si tratta del tasso più basso da quando la Repubblica popolare si è aperta al mercato nel 1979, escludendo il 2020, l’anno iniziale del Covid, che con una crescita di appena il 2,2% ha registrato il dato peggiore in assoluto sin dal 1976.

Nel 2020, tuttavia, come nota Filippo Fasulo, un economista dell’Ispi (Istituto per gli Studi di Politica Internazionale), una crescita al 2,2% era l’unica eccezione tra le principali economie, tutte cadute in recessione. Se il risultato di allora dipendeva in buona parte dalla capacità di arginare la circolazione del Covid nel Paese, il valore del 2022 è da imputare alle incertezze nella gestione della pandemia da parte di Xi Jinping. Infatti, con il diffondersi delle nuove varianti nei primi mesi dell’anno passato, Pechino ha gradualmente adottato l’imposizione di severissimi lockdown in tutte le principali aree del Paese, coinvolgendo centinaia di milioni di persone. Ciò non ha impedito che la pandemia si diffondesse, toccando il picco in primavera.

Dopo una ripresa dell’economia nei mesi estivi, con l’autunno sono tornati il Covid, i lockdown e il calo dei consumi. Per placare il malcontento di piazza, a fine 2022 Xi Jinping ha disposto la riapertura delle imprese, che però ha avuto un impatto negativo sull’economia, rimasta bloccata per le altissime assenze di lavoratori bloccati dal covid. Attualmente, il quadro generale resta estremamente debole. In tutto il 2022 le vendite al dettaglio sono rimaste piatte (-0,2%) e la produzione industriale è cresciuta del 3,6% contro il +9,6% nel 2021. Inoltre, continua la crisi immobiliare: rispetto a un anno fa gli investimenti nel settore si sono contratti del 10% e le vendite di case di oltre il 20%.

Come ha posto in evidenza Federico Rampini sul Corriere della Sera, Xi negli ultimi anni ha finito per creare un’atmosfera troppo ostile all’impresa privata e ha praticato un sistematico favoritismo verso le aziende di Stato. Questo non può che penalizzare il dinamismo e la creatività che hanno alimentato la crescita cinese dell’ultimo trentennio. Se si aggiungono i venti contrari che soffiano da Occidente sulla globalizzazione, se ne conclude che le prospettive dell’economia cinese nel medio-lungo periodo restano incerte. Tuttavia, le aspettative economiche per l’anno in corso sono buone. La Banca Mondiale stima un a crescita del Pil del 4,3%, mentre Bloomberg indica il 5%.

In conclusione, non bisogna sottovalutare gli ostacoli al rimbalzo nel breve termine: l’esplosione dei contagi e decessi da Covid può deprimere la fiducia dei cinesi. Inoltre, si fanno sempre sentire i problemi dell’industria immobiliare in crisi da 18 mesi, l’enorme debito accumulato a livello locale e il rallentamento delle esportazioni. Infine, c’è da osservare che la tendenza di fondo nel medio-lungo termine è comunque quella del rallentamento del tasso di crescita del Pil, da considerare ormai come un dato strutturale consolidato.

© Riproduzione riservata