I l tema è la paventata invasione di pale eoliche, con l’installazione di torri alte anche 300 metri, in diverse parti della Sardegna. Intanto preciso subito che non sono contrario alle energie rinnovabili, anzi sono pienamente convinto che dal vento e dal sole possano arrivare soluzioni importanti per il problema energetico (pur nella piena consapevolezza che non esista alcun sistema di produzione di energia che sia indolore per l’ambiente). Quello che sta accadendo è però molto simile ad un vero e proprio assalto indecoroso, arrogante, spietato, bulimico al territorio della nostra isola.

A ssalto che, si badi bene, non solo è legale ma anche favorito e incoraggiato da allettanti incentivi nazionali e comunitari.

Per inquadrare esattamente la situazione è importante studiare con attenzione i dati: la Sardegna necessità di circa 8-9 mila GW l’anno (più del doppio di quanta se ne produce attualmente) e può esportarne sempre circa 9 mila GW. Se fosse stata questa la quantità di energia da produrre, l’intervento sarebbe stato quanto meno comprensibile e giustificabile, pur tenendo conto che si tratterebbe comunque di un pesantissimo intervento sull’ambiente. Ma la massiccia produzione totale prevista, con poco margine di approssimazione, è di circa 45 mila GW, che significa che si finirebbe per produrre o energia inutilizzabile (che garantirebbe comunque gli incentivi per chi impianta le pale!) o che comporterebbe ulteriori massacri all’ambiente per il necessario potenziamento del sistema di stoccaggio ed esportazione.

Si è venuta a creare una situazione tale che parlare di esami preventivi agli interventi è solamente un palliativo per offuscare la tragedia territoriale che potrebbe abbattersi sull'isola. Per l’avifauna, stanziale e migratoria, sarebbe un massacro (è accertato che le pale eoliche sono la prima causa di morte per i grandi rapaci). L’irriverenza dell’attacco è totale, ogni giorno è un nuovo allarme che non conosce zone franche e non risparmia siti Unesco, aree protette o zone di particolare pregio paesaggistico. L’esempio più eclatante è stato quello del mastodontico parco eolico previsto nelle vicinanze della miniera di Sos Enattos a Lula (installazione forse sventata da una vera e propria insurrezione popolare), che metterebbe a rischio l’installazione del telescopio Einstein (straordinaria occasione di sviluppo per le zone interne dell’isola).

Tutto questo rappresenta un fortissimo richiamo a quanto accaduto dalla metà dell'ottocento in poi alle foreste della Sardegna, trasformate in traversine per la costruzione delle rete ferroviaria nazionale, isola esclusa, e in carbone destinato a soddisfare le necessità energetiche altrui (le tante foto storiche esistenti di donne in costume con la corbula di carbone in testa e delle montagne dello stesso carbone ammassate in attesa di essere caricate nei bastimenti dovrebbero diventare l’icona di quello che stiamo vivendo).

Il paragone, già di per se nefasto, mette tuttavia in risalto una ulteriore differenza negativa tra le conseguenze di quanto accaduto in passato e quello che potrebbe accadere oggi. La natura infatti, aiutata anche dall’uomo, ha ripreso il suo corso e gran parte di quelle foreste lentamente ma inarrestabilmente stanno di nuovo ricoprendo l’isola; le monumentali pale eoliche invece, nella sciagurata ipotesi che vengano installate nel numero previsto, in futuro sarebbero un triste e immenso parco archeologico del vento quasi impossibile da smaltire. Rispetto a questa situazione oggi i sardi stanno urlando il loro no. Sono tante le popolazioni ed i sindaci dei Comuni interessati, alcuni significativamente senza la fascia tricolore, che stanno scendendo in piazza per difendere il loro territorio, sollecitando in primo luogo l’amministrazione regionale perché si faccia carico con forza e decisione del problema, molto più di quanto fatto sinora, perché il piano di installazioni venga bloccato, rivisto e, soprattutto, drasticamente ridotto. In ballo c’è il futuro dell’ambiente della Sardegna che, ricordiamolo sempre, è un bene riconosciuto come valore primario dalla Costituzione italiana.

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