D opo la cattura del superlatitante Matteo Messina Denaro, avvenuta grazie anche alle intercettazioni, le polemiche sconquassano ormai quotidianamente il mondo della politica sul tema della giustizia e delle annunciate modifiche a questo indispensabile strumento di indagine, che ormai ha soppiantato la confessione come regina delle prove.

Come si sa, lo strumento dell’intercettazione si è poi evoluto e dalle tradizionali captazioni telefoniche si è passati a quelle ambientali, domiciliari, telematiche, fino all’avvento del virus trojan, che, inoculato nel dispositivo portatile, tutti e tutto ascolta, filma, ricerca e acquisisce, in qualsiasi luogo e di qualunque argomento si parli. Ma i cittadini, sentendo parlare di modifiche alla disciplina delle intercettazioni, potrebbero pensare ad un proposito del Governo di ridurre la loro incisività nella lotta alla delinquenza.

È necessario, perciò, fare chiarezza sulla questione, se non altro per tranquillizzare l’opinione pubblica. Il ministro della giustizia è stato chiaro nel precisare che l’impiego delle intercettazioni non sarà ridimensionato e tanto meno ciò avverrà nei confronti dei reati di mafia, terrorismo e reati satellite.

C iò che il ministro Nordio intende modificare non è l’ambito di operatività delle intercettazioni, che rimarrà quello attuale e quindi assai ampio sia per i soggetti intercettabili, anche non indagati, sia per i numerosi reati che consentono l’intercettazione, sia per le relative spese, quanto l’illegittima diffusione del contenuto delle stesse intercettazioni una volta concluse. Intendiamoci, gli organi di informazione hanno il diritto e dovere di informare i cittadini sulle indagini in corso e quindi anche sul contenuto delle intercettazioni: è un diritto riconosciuto dalla Costituzione e dalle Convenzioni sovranazionali. Ma la legge prevede che l’informazione giornalistica si limiti, quanto al contenuto, alle notizie processualmente rilevanti e, quanto alla forma, presenti i risultati delle indagini come la tesi dell’accusa, non come fatti già accertati, perché sarà la sentenza del giudice a certificare reati e rei.

Purtroppo, in Italia da decenni si confonde il pubblico ministero con il giudicante, l’indagine dell’accusa con la sentenza del giudice, per cui l’indagato è sbattuto in prima pagina per mesi, descritto come colpevole e se poi, dopo anni, è assolto la notizia si esaurisce in giornata. Questo distorto sistema di informazione incrina il primato della giurisdizione in favore dell’accusa, per cui lo stesso giudice può essere influenzato dalle campagne di stampa (spesso colpevoliste) e, se decide di assolvere, dovrà avere il coraggio di sentenziare contro un’opinione pubblica che si è formata durante i mesi dell’indagine. Le intercettazioni giocano un ruolo preminente in questo corto circuito mediatico-giudiziario. Vi è stata una riforma nel 2020 che ha prescritto che le intercettazioni, una volta terminate, siano tutte custodite in un archivio digitale, blindato e inaccessibile, proprio per evitare fughe di notizie che ledano la riservatezza dei soggetti intercettati, siano indagati o meno. Soltanto le intercettazioni che, dopo una selezione effettuata in contraddittorio tra tutte le parti, siano riconosciute dal giudice come utilizzabili e rilevanti per il processo sono acquisite agli atti e possono essere pubblicate, tanto che è posto un esplicito divieto di pubblicazione del contenuto delle intercettazioni non acquisite. Ma dal 2020 la situazione non è cambiata rispetto al passato e continuiamo a leggere sui giornali brani di intercettazioni del tutto irrilevanti per il processo e magari riguardanti la vita privata delle persone, anche di quelle estranee al processo e persino delle vittime del reato. Perciò quello che il ministro della giustizia propone non è un “bavaglio alla stampa”, ma soltanto la proposta di riportare l’informazione alla sua alta funzione, che è quella di testimone della regolarità dei processi, non certo dei fatti processualmente irrilevanti.

© Riproduzione riservata