S i alza il sipario e in palcoscenico entrano la morte, la distruzione, l’orrore. Orrore puro. A Bucha, sobborgo a nord di Kiev, centinaia di civili giustiziati a cielo aperto, un foro di pallottola nella nuca. Esecuzioni sommarie, cadaveri con le mani legate dietro la schiena, fosse comuni piene di cadaveri gettati lì con una pala meccanica. Una messinscena, si affretta a dire l’ineffabile Lavrov, ministro degli esteri russo, mentre in Occidente monta lo sdegno ma spuntano, contemporaneamente, le solite divisioni sul come reagire a tanta barbarie.

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I eri, in quel pezzo di Ucraina martoriata dalla guerra, si è recato il presidente Zelensky. Ha visitato un ospedale, ha girato per le strade colme di fango e morte, ha cercato di rincuorare i sopravvissuti alla furia bestiale dei russi in ritirata. Più delle sue parole, che per i negazionisti nostrani possono anche valere zero, contano però le testimonianze dei molti giornalisti che a Bucha sono arrivati prima di lui. Racconti raccapriccianti, scene che ricordano i momenti più bui della Seconda Guerra Mondiale. Brunella Giovara, inviata di Repubblica, ha intervistato Vladislav Kozlovskiy, giovane di 28 anni che lavorava in un ristorante: «I soldati russi entravano nelle case, uccidevano le persone a letto, le buttavano giù e si coricavano. Un giorno hanno ucciso un anziano che non conoscevo. Era davanti a me, gli hanno sparato alla testa, poi se ne sono andati. Una donna ha cercato a lungo il marito, le hanno detto che in uno scantinato c’erano molti cadaveri. Ci è andata, lo ha riconosciuto dagli abiti. Era morto da giorni, disteso per terra, il sangue rappreso, nel locale un puzzo tremendo di morte e urina». Oltre 400 persone hanno perso la vita così e chi si è salvato ha patito fame, paura, dolore, disperazione.

Domanda: cos’altro dobbiamo ancora vedere prima di scuoterci dal nostro lungo sonno di occidentali senza più fibra morale, divisi su tutti, privi di una linea comune su come affrontare e combattere il Male? Dopo le prime forti reazioni di Macron e Draghi, la Germania ha subito fatto sapere che non è disposta a rinunciare al gas russo. Tradotto: continueremo a combattere per procura, inviando armi, ma al contempo seguiremo a finanziare la guerra di Putin, magari pagandolo in rubli, come lui pretende. E il Papa? Forse Ernesto Galli Della Loggia esagera un po’ scrivendo che Francesco «vive una confusionepolitica che sfiora l’rrilevanza». Ma, dopo aver preso in considerazione giorni fa l’idea di andare a Kiev, non sente oggi il dovere di recarsi a Bucha e magari benedire quei cadaveri sepolti nelle fosse comuni? Scriveva Raymond Chandler ne “Il grande sonno”: «Cosa importa dove si giace quando si è morti? In fondo a uno stagno melmoso o in un mausoleo di marmo alla sommità di una collina? Si è morti, si dorme il grande sonno e non ci curiamo di certe miserie. L’acqua putrida e il petrolio sono come l’aria per noi. Si dorme il grande sonno senza preoccuparsi di essere morti male». Sarà anche così ma quelle vittime di Bucha meritano almeno la nostra pietà.

Eppure orrore chiama orrore, l’attualità incalza. Per il secondo giorno consecutivo missili sono piovuti su Odessa, forse l’obiettivo finale della folle guerra del nuovo zar. Mi sia consentito, a questo proposito, un ricordo personale. Io a Odessa ci sono stato. Estate del 1971, in viaggio con mio padre, crociera sul Mar Nero. La nave, russa, si chiamava “Taras Schevchenko”, era intitolata al poeta che viene oggi considerato uno dei padri della nazione ucraina, e già questo mi suona crudelmente beffardo. Ricordo una città di monumenti bianchi, la celebre scalin ata immortalata nel film di Eisenstein, lunghi viali, nessun negozio, tanta miseria. Io, studentello quindicenne benestante, mi resi conto della fortuna che il destino assegnava nel farci nascere da una parte o dall’altra del mondo. Mi tornano alla mente i volti di quei ragazzini che ci chiedevano in elemosina le penne biro come fossero grandi tesori. Non avevano l’allegra ribalderia degli sciuscià di Istanbul che giorni prima ci inseguivano dal Topkapi al Gran Bazar a caccia di soldi e sigarette. I ragazzini di Odessa erano tristi, nessuno di loro sorrideva. Immagino ora che quelli ancora vivi siano oggi sessantenni. Nel 1991 hanno vissuto il crollo dell’Unione Sovietica, poi la nascita della loro nazione. Oggi, forse, scavano le trincee o si rifugiano nelle antiche catacombe. Poveri loro. Poveri noi. Povera Umanità.

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