G iorgia Meloni dice: «Noi combattiamo l’evasione fiscale, quella vera, non quella presunta». Dal palco della Cna lancia un messaggio chiaro sulla volontà di questo Governo di contrastare il fenomeno dell’evasione e dare fiducia ai contribuenti che hanno un buon rapporto con il fisco, oltre che cercare di assicurare alle casse dello Stato il giusto gettito. Non è facile, bisogna dirlo. In pochi fino ad oggi sono riusciti a porre un freno o arginare in qualche modo il fenomeno che in Italia continua ad essere piuttosto diffuso, nonostante gli annunci dei tanti esecutivi negli ultimi trent’anni.

I dati li ha forniti nei giorni scorsi un rapporto del centro studi Itinerari previdenziali, in collaborazione con Cida, la Confederazione italiana dirigenti e altre professionalità. Ebbene, vengono fuori numeri che sono difficili da digerire per chi abitualmente paga le tasse, soprattutto coloro che da lavoratori dipendenti hanno un prelievo alla fonte. Non si vuole dire che gli autonomi siano tutti evasori, anzi è un’equazione che non regge, ma certamente le possibilità sono differenti per le due categorie.

Quel che viene fuori dai numeri del rapporto è che, per quanto riguarda l’Irpef (Imposta sui redditi delle persone fisiche), il 47% degli italiani non dichiara introiti. Quasi metà della popolazione. E il 13,9% dei contribuenti, con un reddito dai 35 mila euro in su, assicurano allo Stato il 62,5% degli incassi dell’Irpef, comprese le addizionali regionali e comunali. Un italiano su dieci paga per sei, tra quelli che versano l’imposta. Chi dichiara meno di 15 mila euro rappresenta il 42,5% e assicura solo l’1,73% dell’Irpef.

Va aggiunto, poi, il divario territoriale che vede la sola Lombardia, con poco meno di dieci milioni di abitanti, assicurare un gettito pari a 40,3 miliardi di euro, superiore a quello dell’intero Sud d’Italia, dove vive una popolazione che è circa il doppio di quella lombarda. Freddi numeri, si dirà. Se però si confrontano con i dati dei consumi, viene subito da chiedersi come facciano gli italiani a spendere tanto se poi guadagnano veramente molto poco, almeno a vedere l’Irpef. O sono sbagliati i numeri sui consumi, oppure c’è qualcosa che non torna su sommerso ed evasione fiscale.

Il tema fiscale e la riforma delle tasse sul reddito vanno affrontati con alcuni principi e sfumature che non sempre sono chiari. Pagare tutti per pagare meno è di sicuro un principio giusto, ma che si può applicare solo se c’è una consapevolezza culturale ed etica che porta a comprendere che un solo euro sottratto al fisco significa un euro in meno a disposizione della collettività per servizi e welfare. In secondo luogo, i numeri dimostrano che si va a prendere i soldi sempre su alcune fasce, che rappresentano la classe media se così ancora la si può definire, mentre altre vivono di sussidi e assistenza (e il reddito di cittadinanza non ha certo fatto bene all’Italia). Non si può sempre tartassare la cosiddetta fascia media, che è anche quella che dà un contributo importante ai consumi e fa girare l’economia. Quindi non bisogna dimenticare le fasce a basso reddito e anzi assicurare loro assistenza e solidarietà, ma allo stesso tempo fare in modo che non ci sia qualcuno eccessivamente colpito da tasse e imposte. D’altronde, se chi possiede un reddito sotto i 15 mila euro, può permettersi di acquistare ogni anno un telefonino di ultima generazione, un’auto nuova, avere due case in città e una al mare o in montagna, qualche domanda il fisco dovrà porsela. E oggi, con i mezzi informatici, è più facile trovare le risposte, individuando l’evasione vera, che a volte coincide con quella presunta. Se il Governo Meloni r iuscisse in questo obiettivo, sarebbe già un grande passo avanti. E lo si può fare solo mettendo i contribuenti nella condizione di dichiarare quanto dovuto ed evitare di vivere nel sommerso, anche con una contrapposizione forte tra chi fornisce un servizio e chi paga ed esige una ricevuta fiscale.

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