“N oi non faremo la fine dell’Italia!”. Chissà per quale curioso motivo i media italiani hanno avuto un certo pudore nel riferire lo slogan che stava scritto a vernice bianca sullo striscione rosso con cui si apriva uno dei principali cortei delle proteste che hanno infiammato Parigi negli ultimi quindici giorni di scioperi (in alcuni casi culminati in violenti scontri di piazza). Quel grido di guerra si riferiva proprio a noi, al nostro Paese, alla sua reputazione internazionale e alla famigerata riforma Fornero che i manifestanti - come si deduce - consideravano come un flagello.

N ota esplicativa: in Francia tutti i sindacati di destra e di sinistra, di categoria e confederali hanno letteralmente bloccato la Francia protestando contro una riforma su “la retraite” (ovvero dell’età pensionabile) che innalza l’età media di ritiro dal lavoro, portandola peraltro a quattro anni meno di quanto non accada in Italia. Quello striscione, e i tre milioni e mezzo di francesi che si erano idealmente raccolti dietro chi lo sorreggeva, dunque, prendeva l’Italia come l’emblema di una spericolata iperbole. Una sintesi che più o meno voleva dire questo: finiremo male, come i poveri italiani, che sono in una situazione drammatica. Gli italiani troppo severi e punitivi con i pensionati, dunque, usati come simbolo del rigorismo estremo, esasperato, liberticida.

Chissà che faccia farebbero, questi manifestanti, se scoprissero che la riforma Fornero non stabilisce una età fissa di abbandono del lavoro, ma che ha una soglia mobile regolata da un meccanismo che sale con l’innalzamento dell’aspettativa di vita media: oggi è 67 anni, domani sarà 68, e così via. Ecco qual’era “la fine” dell’Italia. O meglio, come diceva uno degli scioperanti di Parigi per spiegare quello striscione: “A Torino gli operai vanno in fabbrica anche da vecchi, accompagnati dalle badanti”. Fantastico.

Chissà cosa penserebbero di noi quei manifestanti che hanno rovesciato i cassonetti dati alle fiamme alla Bastiglia se scoprissero che la riforma è passata con sole 4 ore di sciopero.

Bisogna aggiungere che nella settimana in cui sono ripresi i rapporti tra Emmanuel Macron e Giorgia Meloni, dopo mesi di gelo diplomatico, questi eventi hanno un peso politico enorme. Ad un capo della tavola, negli incontri diplomatici, non c’è più la presidente del Consiglio di un Paese negletto, considerato il fanalino di coda di un intero continente, il Paese dei furbi e delle cicale, che reclama alle porte della matrigna Europa una qualche forma di sussidio. E dall’altro capo del tavolo, invece, non c’è più il presidente che ha un cognome che si declina con un superlativo, ma un leader che si è scoperto minoranza.

Oggi, invece, in campo c’è una Italia che ha dimostrato di saper affrontare durissime tensioni sociali senza che la tensione esplodesse, un Paese che in diversi campi può essere rigorosa, come e più del resto d’Europa. Però i disordini di Parigi ci dicono qualcosa anche di noi, e del tempo in cui viviamo. Senza consenso nessuna leadership può governare le nuove complessità. E anche che - senza consenso - non esiste leader che resista al logoramento. C’è infine un ultimo tema: dall’ambiente alle infrastrutture, dalle grandi opere alle piccole, la Meloni deve trattare per un Paese che è in ritardo su tutti gli obiettivi del PNRR. Potremmo scrivere un libro sul perché di questi ritardi ma è evidente che un conto è arrivare ai tavoli che contano come l’unica pecora nera, un altro è arrivarci in un giorno in cui la Francia brucia per la protesta, e la leggendaria Deutsche Bank trema sotto l’attacco speculativo della grande finanza.

La scommessa di Giorgia Meloni, e di tutto il Paese che rappresenta (su questo piano non esistono la destra e la sinistra) è riuscire a spiegare che l’interesse nazionale italiano è lo stesso degli altri paesi dell’Unione: costruire l’Europa del terzo millennio, uscendo dalla spirale del debito, salvando lo stato sociale, e riuscendo ad assolvere la missione dell’innovazione eco-sostenibile. Piedi per terra ma al momento la Francia è Micron e l’Italia Macron.

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