L iste elettorali con fregatura. Istruzioni per l’uso: qui si parla di rispetto, quello basilare che si deve anzitutto quando si entra a casa altrui. E poi di serietà, identità, opportunità (la sequenza di parole tronche è casuale). Partiamo dai paracadute che volteggiano da tempo sulla politica italiana e oggi (ma anche ieri) su quella sarda: sono il più classico salvagente per chi non ha né voti né seguito o nel suo collegio naturale è per qualche ragione malvisto. Diciamo una porta antipanico che si apre quando c’è sovraffollamento di candidati e qualcuno va dirottato altrove. Un grande classico tra i leader: siccome la trombatura delle celebrità di partito è considerata la massima onta, vengono piazzate ovunque, da qualche parte l’elezione salterà fuori. Altra ipotesi che va per la maggiore: le star delle preferenze corrono per ogni dove, fanno bottino fra isole e stivale, ma la decisione sul collegio prescelto è posticipata. Anzi, meglio, è banalmente sottratta una volta di più al popolo che vota.

Ma c’è un tempo per tutto. E questo che abitiamo potrebbe essere quello giusto per dire ai signori delle liste e dei partiti – minoranza insignificante rispetto all’ampiezza assoluta del popolo purtroppo non sovrano – che la misura da queste parti pare colma. Anzi: il contenitore non basta più per ospitare il fastidio di chi si sente una volta di più pollo in batteria, nella migliore delle ipotesi portatore d’acqua, e guarda un po’ si è stufato. In nessuna delle ipotesi del capoverso precedente c’è il segno di una qualche considerazione verso coloro che in teoria hanno in mano il pallino.

I l sistema elettorale con cui andiamo a confrontarci – l’ha detto bene ieri Abramo Garau su queste colonne – segna l’apoteosi del potere di partito, in particolare nella sua quota plurinominale: i listini bloccati assegnati con il proporzionale sono il paradiso dell’élite che si autoperpetua e col tempo ha finto di dimenticare chi è il dante causa.

Le elezioni del 2022 sono anche quelle nelle quali vedremo all’opera per la prima volta l’effetto del taglio dei parlamentari voluto dal M5S: 400 deputati e 200 senatori in tutto, la pattuglia sarda che si assottiglia da 25 a 16. I numeri, come sempre, hanno la forze del nudo e crudo: smascherano gli infingimenti, non consentono vaporose e soporifere spiegazioni. Quindi, detto con le cifre, la Sardegna, fra Montecitorio e Palazzo Madama, vale sedici. Pochino insomma, è sempre stato così, ma il dimagrimento istituzionale questa volta ha tirato via la polpa e messo a nudo le ossa. Com’è possibile allora accettare che qualcuno abbia deciso che fra tutti gli abitanti dell’Isola non ci sono nomi gagliardi con documenti in regola e facce presentabili, per farla breve candidati sardi, che possano vestire dignitosamente il ruolo, evitando di ricevere pacchi dono dalla Penisola? Ad evitare spiacevoli equivoci: il tema non sono gli esami del sangue di sardità, “di chi sei figlio?”. Il punto è il riconoscimento delle specificità, la legittima rappresentatività dei prescelti, la capacità di indossare l’abito (metaforico) della terra che ti sceglie, conoscerne intimamente e “naturalmente” i bisogni e saper immaginare risposte. In altre parole, colpisce l’assenza di considerazione verso una Regione (a Statuto speciale, magari ricordarlo è utile) che conosce da sempre le scorribande corsare ma pareva da ultimo aver sviluppato anticorpi robusti che neanche con la quarta dose. Altrimenti cos’era quello spirito festoso e giulivo che da Domus de Maria a Santa Teresa di Gallura ha salutato l’introduzione (il ritorno) del principio di insularità in Costituzione? Era sembrato il punto di arrivo “alto” di un processo di maturazione civica, il traguardo di un percorso di coscienza che partiva dalla base per arrivare fino a chi decide davvero fissando una nuova gerarchia di bisogni e azioni positive.

Evidentemente l’entusiasmo non basta a sorreggere il collo quando si tratta di dire “obbedisco” ai signori di partito. Una riflessione: questa volta siamo pienamente in tempo ad elaborare una reazione incisiva e composta. La Sardegna può dare un segnale che il giochetto della sorpresa in lista non ci garba: non siamo stati invitati al tavolo dove si decide e quello di servizio non ci piace. Gli elettori sardi possiedono lo strumento, scheda e matita, per dimostrare che sono stufi. Sull’Isola soffia spesso e forte il maestrale: rischioso il paracadute.

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