E venne il giorno dell’isola di Giorgia. Si ritorna ancora una volta a Lampedusa, dunque, come un vecchio rimorso, o come un vizio assurdo. Si ritorna a Lampedusa in una giornata che pare tratta dal frammento di una qualche apocalisse biblica: 11mila sbarcati, duecento cittadini dell’isola che protestano in strada per la situazione di emergenza, il questore che apostrofa gli isolani inquieti dandogli letteralmente e platealmente dei “cafoni” davanti alla telecamera mentre parla con uno di loro al telefonino. E poi la Tunisia.

L a Tunisia degli accordi e dei sorrisi, delle promesse solenni e delle strette di mano che è diventata il primo porto di partenza dei disperati di tutta l’Africa verso l’Italia, Matteo Salvini (che per la prima volta si smarca da Giorgia Meloni) e che parla di “regia” (di chi?) dietro l’ultimo flusso, l’Europa che “non paga” (i fondi promessi al Paese nord africano), le un tempo odiate Ong a cui viene concessa una deroga-lampo (ai divieti appena imposti!) perché partecipino ai salvataggi, la presidente del Consiglio che al termine di una successione di notizie scandite come martellanti bollettini di una nuova guerra migratoria si rivolge direttamente ai migranti con un video: “Non venite, sarete respinti!”. Così la presidente del Consiglio, a metà pomeriggio rende noto il grande passo: oggi volerà a Lampedusa, per dare un segno di presenza e di attenzione.

Dunque si ritorna nell’isola che undici anni fa conobbe una delle stragi più cruente del Mediterraneo, e ci si torna con un dato oggettivo: gli sbarchi sono raddoppiati (più 98%) da quando governa il centrodestra.

Attenzione: come abbiamo spiegato per anni, il numero totale degli arrivi non è sempre il prodotto immediato di una singola scelta, di un singolo decreto, di una singola scelta politica: se valeva per i governi di centrosinistra, ieri, questo principio a maggior ragione vale anche per il governo guidato dalla leader di Fratelli d’Italia, oggi. Come ben sappiamo basta una guerra o una calamità naturale a produrre un flusso: un battito di farfalla in Niger, può produrre un barchino in Sicilia.

Tuttavia il tema su cui riflettere, oggi è diverso: se negli anni c’era qualcuno che ha sempre contesto questa idea erano proprio i due principali leader del centrodestra. Da anni la Meloni (e a maggior ragione Matteo Salvini) avevano incardinato molto più che una campagna politica, addirittura un frammento della propria narrazione identitaria intorno ad una promessa, cementata da mille dichiarazioni e da una fede incrollabile: la sinistra e i suoi “porti aperti” e le Ong, l’ideologia buonista “Accogliamoli tutti!” erano la prima causa degli sbarchi: ovvero un amo, un richiamo irresistibile per gli scafisti, la falla da cui entravano i “clandestini” (così li chiamavano fino a ieri, adesso la Corte Costituzionale spiega che è una definizione illegittima). Ebbene, oggi, e addirittura dopo che la Meloni aveva varato il “decreto Cutro” - forse il provvedimento legislativo più importante del suo governo - abbiamo un’unica certezza: tutte le politiche su cui si nutriva questa fede assoluta o sono state ribaltate o sconfitte.

Risultato? I porti sono aperti, i “taxi” delle Ong diventano navi collaboratrici, gli aiuti nei Paesi di provenienza sono chiacchiere a zero, gli accordi con i governi africani un giorno vengono rispettati e quello successivo (per mille motivi) disattesi. E se c’è una lezione certa, in questo ritorno, che sembra virato, con una punta di malinconia, dalle illusioni perdute di un tempo, è questa: essere riusciti a mettere il tema sbarchi al centro delle agende giornalistiche della nazione è stato fino a ieri uno dei capolavori di comunicazione che hanno portato la Meloni a vincere. Ma ora il fatto che l’apocalisse di Lampedusa sia ovunque la prima notizia, è diventato, molto più semplicemente, un boomerang.

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