D al prossimo anno il numero di posti disponibili nelle Università sarde per i nuovi medici aumenterà di circa 150 posti, arrivando ad un totale di oltre 500 che, si suppone, dovrebbe essere il numero corretto per assicurare il ricambio di coloro che si ritirano dalla professione e anche le esigenze di nuovi professionisti che richiederà una medicina sempre più evoluta.

A questi si aggiungono altri 800 posti disponibili per chi vuole fare l’infermiere, il tecnico o un’altra delle numerose professioni sanitarie non mediche. Poi sono ancora da considerare 648 borse di specializzazione per medici e 80 per non medici, che però riguardano la formazione superiore e quindi non impattano direttamente su un’unica classe di età, come invece fanno le lauree.

Nel complesso una battaglia vinta dall’assessore Doria (e dal suo precessore Nieddu) grazie anche all’impegno dei Rettori: per una volta è bello parlare bene delle istituzioni e riconoscere che hanno fatto il loro dovere in favore dei sardi. Quindi il problema della carenza di personale che affligge in forma acuta il sistema sanitario sembrerebbe, almeno nel lungo periodo, avviato a soluzione e ci lascerebbe alle prese con quello del breve termine per il quale si sta cercando di stendere il meglio possibile una coperta che comunque, non illudiamoci, corta è e corta resta.

Non entro nel merito di quello che si sta affannosamente facendo per tappare buchi che si continuano ad aprire con raccapricciante continuità.

D o infatti per scontato che la Regione e le ASL stiano davvero facendo il possibile e, come dimostra il caso dei medici stranieri, anche l’impossibile.

Torno invece al problema del lungo termine, abbiamo visto prima che dall’anno accademico 2023/2024 disporremo in Sardegna della bellezza di poco meno di 1400 nuovi posti per professionisti della sanità, posti che andranno coperti da giovani di norma appena usciti dalle scuole superiori e quindi, prevalentemente, della classe dei nati nel 2005. Bene, qui cominciano i problemi che sono peraltro destinati ad aggravarsi rapidamente: nel 2005 sono nati in Sardegna 13.226 bambini e questo significa che per occupare tutti i posti disponibili è necessario che oltre il 10% dei nati nel 2005 si iscriva nelle diverse facoltà a indirizzo sanitario.

Sembra difficile un tale volume di interesse sanitario, dopotutto ci sono anche altre cose da fare al mondo, ma considerato che si tratta di studi fortemente professionalizzanti e con possibilità di impiego immediato quasi certe, possiamo supporre che se non tutti almeno buona parte dei posti vengano occupati. E la situazione dovrebbe restare sostanzialmente stabile per i prossimi 6/7 anni, diciamo fino al 2029 cui corrisponde la classe del 2011 (i nati furono ancora superiori ai 13.000) per poi cominciare una discesa fino alle poco più di 8.000 nascite nel 2021.

Questo significa che, mantenendo costante la necessità di figure professionali sanitarie, dal 2036-37 in avanti dovremo presumere, ipotizzando che tutti i diciottenni si laureino (il che non è), che quasi il 18% dell’intera classe di età 2018 dovrebbe dedicarsi alla sanità. Francamente poco credibile.

È pur vero che la popolazione sta diminuendo al ritmo di 9.000 unità l’anno per cui possiamo ragionevolmente ipotizzare che nel 2036 saremo circa 1.400.000 abitanti ma a questo non corrisponderà una sostanziale riduzione dei bisogni sanitari sia per il costante invecchiamento della popolazione sia per il continuo progresso tecnico e scientifico che richiederà sempre più uomini e donne altamente formati.

Insomma, e se cominciassimo a guardare all’immigrazione con altri occhi? Non la folla di disperati poco qualificati che si riversano sulle nostre coste oggi; ma se provassimo a guardare al futuro e a trovare magari accordi (borse di studio?adozioni a distanza?) con i Paesi africani o dell’Est europeo per far crescere là ragazzi che poi potranno diventare nelle nostre Università i nostri medici e infermieri di domani?

© Riproduzione riservata