È sempre più arduo avere certezze, poter pianificare e gestire le attività, le nostre esistenze. Nella realtà i principi, i paradigmi e gli stessi valori evolvono mentre anche l’accelerazione del cambiamento aumenta. In soli tre anni, se confrontiamo la situazione del 2019 con l’attuale, vediamo un mondo diverso, logiche stravolte e prospettive inimmaginabili (ad esempio la penuria e i costi dell’energia, l’inflazione che supera il 10%, la chiusura di mercati export).

In questo fluire pur denso di opportunità per chi sa anticipare, la discussione sul futuro della nostra Sardegna appare straordinariamente ancorata al passato, a una visione (politica, economica e culturale) statica, bloccata dalle patologie che Nereide Rudas individuava nella nostalgia immobile e nell’utopia ferma.

Disegnare un sistema economico premiante per l’isola (oppure limitarsi inizialmente a progettare un impianto formativo adeguato o ancora una manutenzione idrogeologica e infrastrutturale del nostro territorio) è già un compito leonardesco, non certo all’altezza di una classe politica e dirigenziale che ha assorbito i peggiori mali “dell’essere stati lasciati soli, messi da parte”.

F inalizzare poi una fase realizzativa, beh, questo appare ormai al di sopra della nostra condizione di “orfani esiliati nella nostra terra, estranei alla nostra casa”. Faccio un altro esempio: nel 2003, invitato mentre ero a Singapore, ho tenuto una conferenza programmatica a Cagliari sul Porto Canale – ne mantengo ancora le diapositive. Siamo arrivati al 2022, dopo 19 anni, per leggere dell’ennesima debacle e delle prevedibilissime dichiarazioni sulle grandi potenzialità (sembra che tutto il mondo aspetti noi trattenendo il fiato) e sul brillante futuro (che forse vedranno i nostri nipoti).

Dall’amministrazione della cosa pubblica quel che apprendiamo è il vittimismo, l’arroganza dell’ignoranza, il mantra dell’assistenzialismo e il successo del bizantinismo – vogliamo parlare in questi giorni di rimpasto, di Consigli comunali in perenne diaspora, della dialettica marcia sui più importanti temi civili? Non è polemica, a meno che non siano tali i quotidiani articoli che parlano diffusamente di sfascio, spopolamento, lotte intestine, malasanità, opere incompiute, nuove colonizzazioni, continuità territoriale (quale?).

Forse non ci meritiamo quest’Isola, diciamocelo, ed è un peccato tanto più grave quanto più evidente e insolita si mostra (non come fenomeno esteso ma come brace sotto la cenere) la creatività dei sardi. Questa personalità creativa è qualcosa d’inatteso e quasi misterioso, che richiede però una capacità d’ascolto e di lettura che sembra essere parte di quelle mancanze ormai endemiche che ci caratterizzano – chi legge più Nereide Rudas, chi compra libri e giornali, chi s’informa? Abbiamo alcuni settori (turismo, cultura, archeologia ed enogastronomia tra i primi) capaci di portare straordinarie ricadute economiche, di crescita e d’immagine ove fossero studiati e sviluppati in termini industriali (ovvero con le competenze occorrenti per l’innovazione e la gestione e non con le ricette degli apprendisti stregoni che ci si nutrono e con le logiche vigenti d’appartenenza politica). Non abbiamo certo bisogno d’impiantare altre Ottana o far crescere velleitarie zone industriali nei paesini dell’entroterra – industria non vuol dire necessariamente capannoni e macchinari. Anche la formazione può essere un centro di profitto, anche la manutenzione, se ovviamente si sposa un concetto di sana amministrazione del bene pubblico e dunque un’ottica di ritorno di medio periodo.

Quanto costa l’ignoranza? Oppure un’alluvione, una frana o un incendio, il crollo di un ponte o ancora la povertà del decoro pubblico, la pericolosità delle strade e lo squallore delle ferrovie? La Sardegna non è un’isola felice e oltre alle nostre ricorrenti “tragedie naturali” (ricordiamo le alluvioni in Campidano, Gallura, Barbagia, Ogliastra, ecc.) anche solo il percorrere la 131 ci pone davanti allo specchio amaro della nostra pochezza. Siamo ridotti a questo, a sognare un’epifania (l’azione di una divinità che palesi la sua presenza e le sue direttive attraverso un segno, un qualche miracolo) perché con questa generazione al comando niente po trà cambiare. I risultati urlano.

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