I l sole è democratico, quando riscalda, riscalda tutti. Sorge ogni mattina, inesauribile ancora per milioni di anni. Il vento è democratico, quando soffia, soffia per fecondare il grano e tutte le piante e dare pane e alimenti per tutti. La pioggia è democratica, quando piove bagna tutti e quando scorre nei fiumi scorre per tutti e disseta tutti.

Il sole, il vento e la pioggia producono energia per tutti, ma non si capisce perché l’energia debba essere oligarchica e monopolistica, nel momento in cui esiste la possibilità tecnica che sia pienamente democratica. L’energia può essere democratica se esiste la volontà politica di favorire le comunità energetiche e non le multinazionali, che speculano dove trovano facilmente porte spalancate.

Se l’energia non è democratica i motivi possono essere vari: A) qualcuno se ne è appropriato in modo indebito; B) si ignorano le esigenze e le volontà dei cittadini; C) si è incapaci di gestire il problema o si è succubi degli speculatori energetici. La transizione ecologica tanto sbandierata, nel caso della Sardegna, è soprattutto transizione energetica a spese dell’ambiente che si dice di volere salvaguardare. Si parla sempre di produzione ed è scomparso il concetto di risparmio energetico. Una legge scellerata del governo Draghi (votata da tutte le forze politiche) dà l’esclusivo potere di decisione allo Stato, espropriando alle Regioni, alle Province e ai Comuni la possibilità di affermare le loro prerogative costituzionali.

S apere di quanta energia ha necessità la Sardegna è compito di chi ci governa e non si capisce perché la Sardegna debba divenire terra di nessuno dove le imprese energetiche o il loro prestanome fanno il bello e il cattivo tempo. 2100 torri eoliche da aggiungere alle 2500 già installate costituiscono uno stravolgimento dell’assetto ambientale e del paesaggio dell’Isola. Le torri eoliche richiedono strade e sterrate varie, immissione di decine di migliaia di metri cubi di cemento che ovviamente non potranno mai essere smaltiti.

Anche i pannelli solari, contrabbandati spesso come agro-fotovoltaico su cui sviluppare l’agricoltura, non sono da meno come impatto ambientale. L’energia prodotta da queste torri di oltre 200 metri e dagli impianti fotovoltaici richiede un’ulteriore rete di tralicci e fili elettrici per il trasporto dell’energia alle stazioni di accumulo e distribuzione. 5000 torri eoliche, che si aggiungono a quelli esistenti per il trasporto dell’energia, oltre all’impatto paesaggistico renderebbe la Sardegna una selva inestricabile di tralicci e fili elettrici

L’impatto della ventosità indotta dai rotori crea inaridimento del suolo circostante, la moria di milioni di api, allontanamento della fauna e gli elettrodotti numerosi causano fenomeni di elettrocuzione degli uccelli, come accertato per numerose specie, in particolare per i grandi rapaci.

Lo smaltimento resta un aspetto molto controverso, legato anche ai fenomeni di abbandono degli impianti (vedi vari casi di indagini giudiziarie, Giave, Milis). Chi andrà o dovrà riciclare i pannelli obsoleti o esauriti? Chi potrà averne interesse? Dove andranno a finire? A spese di chi? Resteranno a perenne memoria? Sono cose che richiedono chiarezza. Sapere di quanta energia ha reale necessità la Sardegna, che si avvia entro qualche decennio a ridurre la sua popolazione a poco più di 1 milione di abitanti, dovrebbe far riflettere non solo chi ci governa.

Mi rendo conto che chi pone questi quesiti viene tacciato di essere contro lo sviluppo economico e il progresso, ma ricordo che quando ero al liceo ci portarono in gita ad Arbatax a spiegarci quanto sarebbe stata bella la cartiera in costruzione e le foreste del miracoloso pino radiato. La cartiera non esiste più, gran parte dei rimboschimenti di pino radiato sono state bruciati e quelli che restano sono sempre in pericolo di incendio.

Ci fu detto, negli anni Settanta che l’industria petrolchimica avrebbe portato la modernità industriale e il progresso nell’Isola e a Porto Torres e Ottana sono divenute ferraglia inquinante.

Ci dicono che tutto questo è il futuro dell’energia pulita, cosa su cui siamo tutti d’accordo, ma se le comunità locali della Sardegna nel loro insieme e in modo sinergico, stante la sostanziale inerzia della Regione Sarda, non faranno valere i loro diritti democratici, tra vent’anni una cappa di ferraglie e migliaia di torri di cemento caratterizzeranno l‘Isola molto più dei nuraghi.

Università di Sassari

© Riproduzione riservata