I l governo Draghi è nato con due obiettivi, sui quali vi era ampio consenso: mettere in pista un’efficace campagna vaccinale e definire le linee generali del PNRR. L’una cosa e l’altra si sono in qualche modo esaurite a fine 2021.

Il presidente del Consiglio, lo ha quasi ammesso lui stesso, a quel punto avrebbe preferito cambiare mestiere e trasferirsi al Quirinale. Le forze politiche italiane hanno deciso di tenerlo a Palazzo Chigi, anche memori di una legge di bilancio quantomai “accomodante” con le loro esigenze. Il percorso del governo Draghi è continuato, privo però di una stella polare. Il premier ha provato a darsela con la guerra in Ucraina ma questo ha fatto emergere frizioni antiche all’interno della sua maggioranza.È difficile prevedere quello che accadrà nei prossimi giorni. Il Presidente della Repubblica, fedele all’interpretazione consolidata del suo ruolo, tenterà di arrivare a fine legislatura: anche se mancano una manciata di mesi. I partiti politici potrebbero invece, per una volta, spingere per andare a votare.Le elezioni al più presto convengono a Giorgia Meloni, convinta che Fdi sarà il primo partito.

N on dispiacciono a Enrico Letta, che veleggia attorno a un decoroso 20% e che potrebbe ripulire le liste elettorali, avvicinando di più la rappresentanza parlamentare del Pd alle sensibilità del suo leader. Fanno comodo a Matteo Salvini, che teme una nuova erosione di consensi e che qualcuno nella Lega si decida a prendere il pugnale di Bruto. Lo stesso vale per Giuseppe Conte. Gli unici contrari sono i centristi, ancora lontani dal costruirsi una zattera capace di reggerli tutti. Non è detto che ce la farebbero in caso si votasse nel 2023.

C’è poi una ragione meno soggettiva, per accorciare la vita di questo Parlamento. Si preparano tempi duri. L’inflazione morde risparmi e salari. Le conseguenze della guerra in Ucraina e delle sanzioni imposte alla Russia implicheranno con tutta probabilità forme di razionamento del consumo di gas. Questo, banalmente, significa dire agli italiani che il prossimo inverno non potranno accendere il riscaldamento quando vorranno e che nessuno è più padrone del proprio termostato. I contraccolpi sulle imprese energivore sono e saranno significativi. Il rimbalzo, nel 2021, dopo la crisi Covid, ci aveva illuso che il Paese fosse su un sentiero di crescita. Non lo è.In questo contesto, l’esecutivo ha scelto di dare messaggi rassicuranti. Sull’energia, è intervenuto con una decina di provvedimenti in altrettanti mesi e forti iniezioni di spesa pubblica. Gli effetti sono, nella migliore delle ipotesi, palliativi.Non bisogna essere osservatori particolarmente raffinati per immaginare, nei prossimi mesi, un forte disagio sociale. Ci sono sacche di malcontento profondo: chi non ha approvato la strategia pandemica del governo e i NoVax, per esempio. Ma anche chi si oppone alla guerra in Ucraina. Questi gruppi, numericamente modesti ma fortemente ideologici, offrono risposte magari sbagliate ma almeno chiare a un numero crescente di persone arrabbiate e disilluse. Tale domanda politica oggi non incontra una offerta strutturata, ma fra sei mesi o un anno chi lo sa. L’idea di governare nel mezzo di una crisi energetica e di una guerra, finora finanziaria, mondiale non entusiasma nessuno ma ancor meno l’ipotesi di sbattere contro una nuova ondata populista. Per questo, per una volta, in Italia l’ipotesi di elezioni anticipate non è un ballon d’essai. È nell’interesse delle stesse forze politiche.Dall’esperienza del governo Draghi, forse bisognerebbe trarre una lezione. Sulla scorta dei successi della “große Koalition” tedesca, in Italia si è affermata un’opinione favorevole alle grandi coalizioni. Essa sembra sopravvivere alla prova dei fatti. In Germania, l’accordo democristiani/socialisti funzionò bene in parte perché a gestirlo era Angela Merkel, in parte perché in quel Paese non esiste la cultura della spesa pubblica che c’è in Italia. Anche i socialisti, per esempio, non vogliono spendere e spandere a scapito delle generazioni future, facendo debito.

In Italia invece la differenza fra destra e sinistra attiene sostanzialmente i beneficiari delle spese patrocinate dagli uni e dagli altri. Se m ancano (come era invece avvenuto col governo Monti) circostanze drammatiche e un forte vincolo esterno, metterle assieme significa aumentare le spese: non tenere sotto controllo le finanze pubbliche. Siamo al paradosso che un governo a guida tecnocratica ha fatto tre volte il deficit del primo governo della legislatura, che era a trazione populista.Come dire, talvolta non basta l’ampia maggioranza a fare il buon governo.

Direttore dell’Istituto

“Bruno Leoni”

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