U na “palpata breve” sui glutei di una ragazza potrebbe non costituire reato. Una recente sentenza ha derogato ad una consolidata e granitica giurisprudenza, secondo cui l’intrusione senza consenso «nelle parti erogene altrui» è sempre violenza sessuale. Invece, secondo il giudice (donna) del Tribunale di Roma, una mano nel fondo schiena di una studentessa è lecita, se l’uomo le tocca i glutei solo «una manciata di secondi» e soltanto per scherzo. Il caso è stato riportato dai maggiori quotidiani e ha fatto ovviamente molto discutere.

L ui un bidello sessantaseienne di un Istituto superiore di Roma, che era solito chiamare le studentesse “amo’”, ha infilato le mani nel fondo schiena di una di loro e si è giustificato dicendo che era solo uno scherzo durato pochi secondi. Pacifico il fatto, descritto dalla ragazza nei particolari: ha riferito in aula di essere stata toccata nei glutei dal bidello, mentre saliva le scale per entrare in classe insieme a un’amica: «mi ha infilato la mano dentro i pantaloni, sotto gli slip, mi ha palpeggiato e poi mi ha tirato su, tanto da farmi male alle parti intime. Il tutto per cinque/dieci secondi», racconta lei, all’epoca dei fatti minorenne. Il bidello ha spiegato il fatto a modo suo: «L’ho toccata, sì, ma per scherzo, e non ho infilato le mani da nessuna parte». Il racconto della ragazza, che ha trovato riscontro in altre testimonianze, è stato ritenuto credibile dal Tribunale, che riconosce come, sul piano oggettivo, la condotta posta in essere dal bidello «integra il reato di violenza sessuale». Ma la sentenza romana, pur accertando il gesto, osserva che è stato compiuto in pieno giorno, in presenza di altre persone, con modalità (il sollevamento) che non sono proprie della violenza, «in una manciata di secondi» e «senza alcuna insistenza nel toccamento», convincendosi della tesi dello scherzo, benché «inopportuno» e risultato di una «manovra maldestra». Perciò i giudici hanno assolto il bidello per l’assenza dell’elemento soggettivo, quindi per l’insussistenza del dolo, che manca secondo i giudici perché «il toccamento sarebbe stato fugace».

I giudici hanno perciò ritenuto che il bidello non deve essere punito perché il fatto non costituisce reato a causa della «repentinità dell’azione», pur riconoscendo che le dichiarazioni della studentessa «sono pienamente credibili, in quanto dettagliate, prive di contraddizioni, logiche, coerenti, e prive di intento calunnioso nei confronti dell’imputato». Ma secondo i giudici il gesto sarebbe stato un «toccamento fugace, quasi uno sfioramento», per cui difetta il cosiddetto «elemento soggettivo», cioè la volontà di molestare, per cui non ci sarebbe «l’intento libidinoso o di concupiscenza» necessario perché si possa parlare di violenza sessuale. Il Pubblico ministero, che in udienza aveva chiesto la condanna dell’imputato a tre anni e quattro mesi di reclusione, ha appellato contro la sentenza di assoluzione del bidello dall’accusa di violenza sessuale, osservando che un’azione che dura tra i cinque e i dieci secondi, come il palpeggiamento ai glutei descritto dalla studentessa da parte di un bidello, non può essere considerata istantanea, anzi è «un’apprezzabile durata».

Vedremo come deciderà il giudice d’appello, ma intanto la sentenza fa arretrare di decenni la cultura del rispetto della persona e fa strame della dignità della donna perché non ne riconosce l’umiliazione subita ed è pure pericolosa, perché potrebbe incentivare analoghi “scherzi” da parte di chi non sa tenere le mani al loro posto. Infatti, la pronuncia lancia un messaggio assai equivoco: si possono me ttere le mani sul fondoschiena di una ragazzina, a condizione che la “toccata e fuga” sia fatta ioci causa, come direbbero gli antichi Romani. Solo che persino in epoca romana la donna libera era considerata custode del focolare e inviolabile.

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