C he caratteristiche avrà il mercato del lavoro nei prossimi anni? Si tratta di una domanda a cui non è semplice rispondere, in special modo una regione come la Sardegna dove trovare una occupazione che risponda alle proprie esigenze e alle proprie aspettative non è banale, soprattutto per i più giovani. La nostra isola, infatti, ha un tasso di disoccupazione del 12%, rispetto a una media nazionale del 7,9%. Ma anche tra gli occupati quanti si devono accontentare di stipendi da fame, situazioni lavorative precarie e prive di garanzie?

C reare occupazione per tutti o quasi è quindi un primo obbiettivo, ma il lavoro deve avere anche una sua dignità altrimenti perde centralità non solo nella vita delle persone, ma anche a livello di società. Se ci ragioniamo sopra il rapporto dell’uomo con il lavoro conserva da sempre la sua carica di contraddittorietà. Lavorare è una fatica e una costrizione, segnata dal sudore della fronte di biblica memoria, ma allo stesso tempo è innegabile che il lavoro, manuale e intellettuale, sia da almeno tre secoli a questa parte il mezzo privilegiato di crescita dell’individuo, il cardine della libertà individuale e dello sviluppo civile della comunità. Il lavoro è, infatti, il collante del nostro modello sociale, fatto di diritti, doveri, responsabilità, libertà, welfare.

Tutta la nostra impalcatura sociale si regge sul valore del lavoro, comprese le istituzioni democratiche. La storia della democrazia, infatti, è la storia della liberazione del lavoro, non dal lavoro. Il lavoro è stato per millenni servile, riservato agli schiavi. Col tempo però anche chi lavorava, ha cominciato a farlo in maniera libera, cioè con dei diritti. Questo ha consentito al lavoratore di conquistarsi un ruolo nella gestione della cosa comune, un ruolo fatto di partecipazione politica, di cittadinanza. Il lavoro, inoltre, incide anche sulla qualità delle istituzioni democratiche. La democrazia è un meccanismo di governance e la qualità della democrazia è determinata dalla capacità di funzionamento di questo meccanismo di governance, cioè dalla capacità di prendere decisioni che riguardano tutti, nell’interesse di tutti.

Questa qualità della democrazia dipende essenzialmente dall’equilibrio tra gli interessi forti, che ci sono in qualunque collettività, e gli interessi diffusi. E gli interessi diffusi vengono rafforzati dal lavoro: se il lavoro è forte economicamente, e quindi socialmente, ha la forza di riequilibrare gli interessi forti. Quando il lavoro è debole, gli interessi forti tendono ad appropriarsi del legislatore e a ottenere decisioni più nell’interesse particolare che in quello generale. E oggi, inutile nasconderselo, il lavoro individuale ha perso di valore in seguito allo sviluppo tecnologico e alla globalizzazione.

Bisogna allora almeno provare a invertire un processo che è cominciato a metà degli anni Ottanta del Novecento e che le varie crisi economiche recenti hanno portato al culmine. Bisogna passare da un modello di sviluppo basato sui consumi, e che ha utilizzato il debito per alimentarsi, a un modello diverso, basato sull’economia della conoscenza, sulla qualità delle produzioni, sulla centralità del lavoro. Bisogna allora puntare sul valore delle produzioni che proprio grazie al lavoro vengono realizzate. Quindi, essenzialmente, investire molto di più sull’innovazione, su tutta l’area della knowledge economy, come le scienze della vita, le biotecnologie, le nanotecnologie. Un lavoro che ha un maggiore contenuto di sapere, di conoscenza vale di più, incide maggiormente. E se il valore del lavoro torna a crescere, se il lav oro torna a essere centrale, aumenta anche il suo valore culturale, sociale e ne traggono beneficio anche le istituzioni democratiche, che si rafforzano. Si instaura quindi un circolo virtuoso a cui contribuiscono tutti e che va a beneficio di tutti.

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