C orrono i ragazzi di oggi. Corrono in auto, in moto, in monopattino, sul web, nelle cose di tutti i giorni. Corrono all’inseguimento della vita che a volte gli sfugge di mano. Ma dove vanno? Che fretta hanno? Sono impazienti, divorano tutto in pochi istanti. Ormai è tutto usa e getta. Le star della musica durano lo spazio di un anno, così le mode, i telefonini. Tutto è effimero.

La tragedia di Cagliari impone una riflessione non sulle stragi del sabato sera, non solo, per dirla meglio, ma sull’universo giovanile. Sui valori, sulle regole, sui modelli di comportamento che la nostra società ha costruito per loro. Parliamo di disagio, una parola che sento ormai da decenni, dagli anni del liceo. Eppure, è una questione non risolta, come tante nel nostro Paese: la questione meridionale, la disoccupazione, la sanità. Nodi intricati mai sciolti. Il panorama è desolante. Giovani che muoiono in auto, altri che uccidono a pistolettate il rivale di un diverbio stradale, il branco che stupra, la violenza fuori delle discoteche, le coltellate dopo una sfida a base di alcol, il giovanissimo popolo della notte che si stordisce con i liquori e la droga.

Perché accade? Qualche sociologo azzarda ipotesi, nessun politico si è mai messo il problema di costruire un diverso modello di società. Due fatti hanno avuto un enorme peso specifico. Primo: la vertiginosa diffusione dei social. Un tempo, il modello di famiglia era rappresentato da padre, madre e due figli riuniti intorno al focolare domestico dei tempi moderni, la televisione. Adesso, l’immagine che abbiamo è di giovani solitari, con il capo chino sul telefonino, tra video crudi, haters e leoni da tastiera. Ognuno chiuso in se stesso, pronto a fare branco nel modo peggiore, tirando sino al limite il filo della propria esistenza. Internet ha cambiato la nostra vita, non sempre in meglio. Secondo: l’onda lunga del Covid. Gli esperti hanno da tempo lanciato l’allarme sugli strascichi che il lockdown ha lasciato nelle fragili menti dei nostri giovani. Il consumo di psicofarmaci è cresciuto in maniera esponenziale, così come il disagio psichico di molti ragazzi. Dobbiamo fare tutti un esame di coscienza. I nostri governanti a tal proposito fanno del loro meglio? I genitori stanno svolgendo il ruolo di educatori? La scuola sta formando i giovani? Nessuno può dirsi estraneo alla tragedia di Cagliari e a quelle che stanno segnando ogni giorno la vita del nostro Paese.

Cantava Lucio Dalla nel 1992: “Nessuno ancora sa dire come sarà, cosa farà nella realtà il ragazzo del 2000. (...) Noi sappiamo tutto del motore, questo lucente motore del futuro, ma non riusciamo a disegnare il cuore di quel giovane uomo del futuro. Non sappiamo niente del ragazzo fermo sull’uscio ad aspettare. Dentro a quel vento del 2000 non lo sappiamo immaginare”, Sostituiamo la data 2030 a 2000 e il grido disperato di Lucio Dalla è ancora attuale.

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