C osì arriviamo all’aeroporto di Francoforte che è come la Von der Leyen: impettito, rigido di forma, istituzionalmente scontato. L’aereo da Olbia, un vecchio A320, viene fermato “in su corru e sa furca”, un piazzale ben oltre quello dei cargo, non collegato ai finger. Nelle due ore di volo non ci è stato servito alcunché (causa Covid, viene comunicato) ma siamo stati dotati di una bottiglietta d’acqua – per la consegna sono occorse due hostess e uno steward. Il pullman che ci preleva impiega ventidue minuti per arrivare a un qualche varco dell’edificio.

È un non-luogo fatto di corridoi lunghissimi da zona a zona, freddi come il marmo e percorsi da gente in affanno (mai viste tante persone correre, ma poi si spiega). Dall’ingresso in cui ci depositano all’uscita del volo per Singapore la mia App “Salute” calcola 3 chilometri fatti in mezz’ora, stante la stretta coincidenza, a piedi e con un trolley a rimorchio. Quando infine mi siedo in aereo, un A340 pieno di acciacchi nei sedili, negli schermi e nei bagni, penso che l’Europa trasudi tutta la vecchiaia che mi affligge facendomi dolorare i muscoli e stentare a recuperare il fiato.

Secondo tempo, passato un mese: sono a Singapore, in attesa di ripartire per l’Europa. Il Changi Airport non era certo un non-luogo già prima del Covid, ma adesso letteralmente stordisce con le nuove realizzazioni. Baricentrico rispetto ai quattro terminal è stato costruito un gioiello, Jewel, un grandioso cono rovesciato di 10 piani, con al centro una potente e bellissima cascata indoor di 40 metri, la più alta al mondo, e attorno, piano dopo piano, un bosco di alberi, fiori e sentieri da cui si accede a un centro commerciale da sogno. Salette, ristorantini, caffè e continui spettacoli di musica e di colori accompagnano un’attesa che sa di fiaba: come è possibile concepire tale meraviglia, quale volontà politica s’impone per realizzarla? Ricordo di aver ritirato i miei bagagli in una sorta di boschetto di betulle, all’arrivo, ma adesso mi sembra che l’intera citta penetri nell’aeroporto con foreste, giardini e feste – mi stupisce la gente, il numero dei giovani e bambini. All’arrivo a Francoforte il crudo risveglio: devo aspettare per otto ore la coincidenza per Olbia e nei corridoi angoscianti mi sento nuovamente un emigrante di ritorno, sconfitto e ancora colonizzato (sembra che sarà la Lufthansa ad acquistare la nostra compagnia di bandiera e noi saremo ancor più trattati da italiani).

Comunque: l’impressione che si rafforza lavorando in Asia e potendo dunque fare confronti è che l’Occidente sia un sistema in rapido declino che assiste sconcertato, senza volerlo comprendere, a un mondo nuovo che avanza. E che l’Occidente non possa vincere facendo semplicemente leva sulle armi e la finanza (ma perché deve poi “vincere”?) seguendo la strategia americana di divisione in blocchi contrapposti, di sconfessione di quanto di buono portato dalla globalizzazione, di trionfo di un neo-liberismo che non viene accettato dalla maggioranza delle popolazioni terze. Il mondo è multipolare, multiculturale, persino multi enzimatico, e non è più pensabile il dominio di un’unica superpotenza su otto miliardi di persone.

I bellissimi principi democratici e libertari su cui è cresciuto il mito dell’Occidente e si è sviluppato un modello di vita riconoscibile e auspicabile vanno difesi innanzitutto in casa, facendoli diventare un esempio tangibile di umanità, un limpido percorso di progresso, un faro di civiltà. Viceversa il predicare bene e il razzolare male; le affermazioni di principio e i valori retorici non tradotti in fatti e risultati virtuosi; la giusti zia e l’arte prostituite all’appartenenza politica e al “politically correct”; l’accentramento elitario-reddituale che risolverebbe (come?) le esplosive ingiustizie sociali; l’utopia dell’esportazione della democrazia con i soldati; “l’Occidente buono, difensore dei deboli" che pecca invece di espulsioni e marginalizzazioni crescenti; tutto questo favorisce una dilagante metastasi morale che non può essere puntellata da tecnologia bellica e potere del dollaro. E l’Europa, l’euro? Smarriti nella grigia zona Z dell’aeroporto di Francoforte, nel fondo del teutonico monumento al passato.

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