D obbiamo come sempre partire dai numeri, dai dati per avere un’idea più chiara su cosa sta succedendo e cosa possiamo fare. Nel periodo che va dal 2019 al 2020 alcune stime seppur preliminari mostrano una diminuzione di 1,2 anni dell’aspettativa di vita, da 83,5 a 82,4 anni. Parte delle cause sono da attribuire al Covid, ma non dobbiamo ignorare un altro fatto importante.

E cioè che nel 2021 durante la pandemia il 23.5 % della popolazione ha rinunciato alle cure. Questo anche perchè gli ospedali, tutti, hanno ridotto drasticamente le loro normale attività ed una massa enorme dei cittadini è stata forzatamente costretta a ricorrere alla sanità privata che è cresciuta di pari passo. Infatti circa il 23% della spesa sanitaria totale pro-capite è stata costituita da quello che in termine tecnico si chiama “out-of-pocket”, cioè pagata di tasca propria.

La spesa farmaceutica totale è stata di 32,2 miliardi dei quali solo 22,3 a carico del Servizio sanitario nazionale. Dobbiamo sempre più tener presente che i consumi crescono con l’aumentare dell’età, in particolare la popolazione con più di 64 anni assorbe circa il 70% della spesa sanitaria.

In questi anni abbiamo assistito ad una trasformazione della nostra sanità. Ad una riduzione drastica dell’offerta sanitaria pubblica legata alle “chiusure” dovute al Covid, ha corrisposto, si è sviluppata un’offerta privata non solo delle strutture private accreditate, ma degli specialisti sia singolarmente che in studi polispecialistici. Non solo, ma la gran parte dei medici ospedalieri fanno e possono fare libera professione e sono presenti con le loro tariffe nei siti Internet degli ospedali dove lavorano. Peccato che chi cerca un medico competente per la sua patologia non abbia possibilità di conoscere le capacità e la preparazione del medico che potrà scegliere.

La scelta pertanto è condizionata dal costo della tariffa, immaginando che più è alta migliore sarà la competenza e la preparazione. Nelle società con sistemi sanitari più evoluti i pazienti possono scrivere una mail all’ospedale indicando i propri disturbi e ricevere una conferma col nome e la disponibilità dei medici esperti in quella patologia.

L’altro aspetto della privatizzazione della sanità pubblica è quello dei medici in affitto.

In passato lavorare nel Servizio Sanitario Nazionale era una aspirazione forte. Il Covid e non solo ha mutato queste aspirazioni. Nel 2021 si sono registrati 2.886 licenziamenti volontari, il 39% in più del 2020. Mettendo assieme questo trend con i pensionamenti il futuro della sanità pubblica è fosco. Vengono in soccorso i medici in affitto, dei quali però non sono mai note le capacità. Esse vengono garantite dalle cooperative. Domanda e offerta si incrociano. Le cooperative mettono i loro annunci sui loro siti o sui social. Ci sono poi siti specifici ai quali i medici si iscrivono e si resta in attesa del gettone giusto. In Sardegna per un turno di 12 ore al Pronto Soccorso al medico spetta un gettone di 600 euro più alloggio. Con altre cooperative si possono guadagnare fino a 3.800 euro in 48 ore.

Di fronte alla crisi del nostro servizio sanitario la politica non solo regionale non può scaricare le colpe sulle precedenti amministrazioni. In questi 20 anni le inadempienze sono state ripartite fra tutti. Cosa fare? Dare una struttura moderna all’intero sistema. Basta con i Primari incaricati, vanno banditi concorsi selettivi a livello ospedaliero basati sul merito cioè sulle loro competenze. La preparazione dei medici non si valuta dai crediti formativi. Servono nuovi modelli organizzativi per ottenere migliori risultati con meno personale. Tutti gli ospedali devono avere una struttura che si occupi di digitalizzazione della cartella clinica e della raccolta dei flussi di ciò che serve nella pratica clinica. Si può dare una svolta. Per cominciare.

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