E ora tutti parlano di educazione sentimentale, affettiva, sessuale. E si ricordano del ruolo fondamentale della scuola, non solo per lo studio, la conoscenza e l’istruzione ma anche per la crescita di ragazzi e ragazze. Se i proclami di questi giorni avranno davvero un seguito potremmo dire che la morte di Giulia Cecchettin, dopo quella delle altre 102 donne ammazzate quest’anno per mano di conoscenti, familiari, mariti o ex, sarà servita a qualcosa. Anche se lo scetticismo è motivato dalle troppe volte che si è gridato “basta” sull’onda dell’emozione di un femminicidio che ci ha sconvolto.

Sì perché non tutti hanno lo stesso risalto anche se sono frutto della stessa cultura e provocano lo stesso dolore. Ogni donna lo sa perché davanti ai fatti di Vigonovo, come quelli di Caivano e Palermo, rivive qualcosa, teme qualcosa, tira un sospiro di sollievo per qualcosa. Ed è questo che gli uomini non sanno o non capiscono. È questo che invece devono sapere e capire. La paura di camminare sole di notte, magari alla fine di un turno di lavoro, nel tragitto dall’ufficio alla macchina. Basta un rumore, uno qualsiasi, e le donne accelerano il passo. Ogni donna lo fa, da sempre e per sempre. Gli uomini no. Cominciamo da qui.

L’educazione, però, non dà i suoi frutti dall’oggi al domani: ci vuole tempo per sradicare nei giovani convinzioni sorprendenti che l’Istat cristallizza così: il 20% dei maschi pensa che l’abito o l’assunzione di alcol rendano la donna responsabile dello stupro subìto; il 30% crede che quando una donna dice no in realtà vuol farsi desiderare; il 40% è convinto che una possa sempre sottrarsi a un rapporto sessuale, cioé la violenza non esiste, se c’è l’atto c’è il consenso. E ancora: per il 50% la gelosia è segnale d’amore; per il 25% dire alla ragazza che cosa indossare non è una forma di violenza; il 30% pensa normale controllare il cellulare della fidanzata.

Eppure, questi sono i segnali di quello che non va. Gli stessi che Filippo Turetta aveva dato a Giulia Cecchettin che proprio per i suoi comportamenti ossessivi/possessivi lo aveva lasciato. Ne avevano contezza le amiche, la sorella, la nonna, perfino i genitori di lui. Nessuno, però, ha immaginato il finale. Del resto, come fai a immaginare l’orrore in un dirupo solo perché lui vuole la buonanotte e il buongiorno e ti dice “se mi lasci muoio, ho solo te”. Al massimo pensi che possa davvero farla finita col mondo e magari ti senti pure responsabile (errore: non è mai colpa tua). Non vedi quello che agli occhi di un estraneo è lampante: si tratta di un ricatto emotivo, terribile e temibile. Allora, fintanto che vivremo in un mondo dominato da una cultura che riserva tanti privilegi al maschio, che senza nulla fare guadagna più di una donna a parità di lavoro e mansioni, soltanto per fare un esempio, e bolla come ragazzate l’ossessione, scambia i biscotti col sentimento, fa di una faccia pulita un bravo ragazzo, immaginiamolo sempre quel finale.

Anche se iniziamo ora con l’educazione a scuola - se davvero resteremo tutti d’accordo e se i genitori saranno alleati degli insegnanti - servirà tempo per spiegare che l’amore non è possesso, il controllo è tossico, l’abito lo sceglie lei e se si ubriaca non le salti addosso, il catcalling è una forma di violenza, la pacca sul sedere pure, bisogna saper perdere e imparare a gestire sconfitta, fallimento, delusione, frustrazione, come le donne sanno fare da sempre. Nel mentre bisogna salvarsi. C’è una sola strada: cogliere i segnali. Li deve cogliere la ragazza come gli amici, i genitori, i fratelli, gli insegnanti, i colleghi. L’attenzione “sociale” salvando lei salverà anche lui. Se invece i comport amenti ossessivi continuano bisogna andare in caserma o in questura. Certo, poi la donna che denuncia va protetta, ed è un altro aspetto del problema. A volte è il problema. Parliamo anche di questo. Prima, molto prima, di cambiare le pene.

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