È di qualche tempo fa la notizia che a Cagliari è compromesso il diritto alla mobilità dei cittadini per problemi nel rilascio dei passaporti. Un po’ come nella Russia di Putin, dove solo il 17% della popolazione lo possiede . A seguito di un’interrogazione parlamentare, qualcosa si è mosso con l’istituzione di turni straordinari a carico dei dipendenti della questura. Insomma, una situazione che denota una carenza organizzativa assai difficile da capire. Ma non è purtroppo un caso isolato. Nell’era del digitale avanzato, la pubblica amministrazione non è in grado di organizzare servizidi base .

P arliamo, ad esempio, di un servizio a favore dei cittadini e delle imprese, quello del rilascio, veloce e senza complicazioni, dei certificati. Per non considerare che spesso si è costretti a fare il giro delle “sette chiese” per richiedere i documenti e gli attestati necessari a confezionare una singola pratica amministrativa. Per questo, su forte istanza del presidente Mattarella, Poste Italiane, nell’ambito del Recovery Plan, è risultata titolare del progetto Polis, vale a dire la possibilità di istituire in tutti i Comuni al di sotto dei 15000 abitanti (sono oltre 7000), un ufficio unico dove recarsi per ottenere, in giornata, tutti i certificati, dalla carta d’identità al certificato catastale.

Sono stati stanziati 1200 milioni, 800 dal Pnrr e 400 da Poste. Se realizzato, questo piano produrrebbe un risparmio di 348 milioni di euro per la riduzione del traffico e di 32 miliardi per la riduzione dell’inquinamento. Il progetto è particolarmente ambizioso ma complesso perché si tratta di mettere in connessione diverse amministrazioni centrali e periferiche dello Stato. E non è facile.

Per la verità tutto il Recovery Plan italiano fa fatica, i fondi del Pnrr rischiano di essere revocati o comunque ridotti per incapacità di rendere operativi i progetti, soprattutto quelli strutturali, da parte del complessivo “Sistema Italia”. La stessa Corte dei Conti, i giorni scorsi, ha rilevato come “oltre la metà delle misure interessate dai flussi mostri ritardi o sia ancora in una fase sostanzialmente iniziale dei progetti”. Il Governo italiano ha preso atto del grave ritardo, al punto che il ministro Giorgetti si è recato a Bruxelles per chiedere una dilazione dei tempi e una rivisitazione dei progetti.

Il Commissario Gentiloni ha annunciato che la Commissione europea è aperta a valutare questa richiesta “a patto che non si viri verso le spese correnti”, quelle che, in questi ultimi due anni, hanno drogato il sistema e l’economia, soldi a pioggia verso categorie indistinte, poche risorse a favore delle riforme strutturali.

In un recente sondaggio pubblicato dal Corriere della Sera, i cittadini italiani hanno manifestato “un discreto scetticismo sulla possibilità che il Pnrr possa risolvere i problemi strutturali e favorire il rilancio economico del Paese” e pronunciato con chiarezza che “in Italia non siamo capaci di fare progetti che siano effettivamente realizzabili”.

Purtroppo è la verità. Da tempo, il ministro Fitto, incaricato di coordinare e gestire il Pnrr, lancia l’allarme: mancano più di 15000 figure professionali per dare gambe ai progetti finanziati. Molti Comuni, anche in Sardegna, sono vincitori di bandi importanti ma non hanno gli addetti sufficienti a dare corso ai progetti fino alla fase finale della rendicontazione. Così il Pnrr, nato con l’ambizione di essere il “Nuovo Piano Marshall europeo”, quello che dovrebbe ridisegnare il futuro dell’Italia dei prossimi 15 anni, rischia inesorabilmente di fallire.

Il 2026 è dietro l’angolo, è la data finale per il completamento del piano. Occorre assolutamente interve nire e rivedere i progetti è urgente, soprattutto quelli che riguardano le aree con forti ritardi infrastrutturali quali la Sardegna. Rivederli nel senso della fattibilità e della piena attuazione. Sarebbe una beffa imperdonabile perdere questa occasione.

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