L e leggi razziste (come correttamente le ha rubricate Andrea Riccardi sul Corriere della Sera) emanate da Mussolini nel 1938 rappresentano il punto di massima espressione dell’antisemitismo in Italia e insieme la legittimazione alle successive operazioni di rastrellamento e poi deportazione degli ebrei nei campi di sterminio. Il fascismo, con la sua visione della società, non è, purtroppo, mai tramontato nel sentimento di molte fasce della società italiana. Nel suo DNA permane un antisemitismo strisciante e fortemente pericoloso.

L ’antisemitismo umilia la vita, è la negazione dei principi fondamentali sanciti dalla Costituzione repubblicana, che, anche per questo, ha posto il divieto della ricostituzione del partito del ventennio nero. L’antisemitismo esprime odio ancestrale verso gli ebrei, è la manifestazione di un’ideologia che nega la dignità della persona umana e che considera, senza alcuna razionalità, i discendenti di Abramo come una razza da combattere e umiliare. Nel corso dei secoli, il pregiudizio nei confronti degli ebrei non ha risparmiato neppure il sentimento religioso, dal cattolicesimo, al luteranesimo e quindi all’Islam. È ancora viva l’emozione per le parole di Giovanni Paolo II che il 27 aprile 1997 chiese pubblicamente scusa per le persecuzioni contro gli ebrei.

Ecco perché quello che sta succedendo in questi giorni in Europa e in altre parti del mondo deve preoccupare: capi di governo, intelligence militari e organismi internazionali sanno che l’antisemitismo è come un fiume sotterraneo che continua a scorrere anche se non lo si vede in superficie. Per questo è giusto mantenere alta la guardia e contrastare il riaffermarsi dell’odio contro gli ebrei. Dall’altra parte, sbagliano moltissimi commentatori e opinionisti a identificare, tout court, Israele e il suo attuale governo con gli ebrei. Nel parlamento israeliano siedono alcuni deputati arabi, molti cristiani sono cittadini di Israele e una fetta consistente di cittadini ebrei contesta alla radice la politica interna ed estera di Netanyahu. Gli studenti che scendono in piazza per contestare gli attacchi missilistici di Israele contro gli ospedali di Gaza non sono un’altra faccia dell’antisemitismo, come vorrebbero far credere i filoisraeliani dell’ultima ora. Semplicemente esprimono un dissenso motivato, come è già accaduto nei confronti degli Stati Uniti in occasione della guerra in Vietnam e in altre circostanze della storia. A ben vedere il mondo sta contestando i fanatici al governo di Israele, sulla scia, peraltro, di un diffuso malcontento che attraversa diverse componenti di quella (culturalmente) ricca società. L’ex premier Ehud Olmert, leader del partito centrista, in un’intervista ha dichiarato: “Noi israeliani dobbiamo essere meno arroganti”. Ancora: “Corriamo il pericolo gravissimo che Netanyahu e i suoi ministri estremisti religiosi approfittino della crisi di Gaza per scacciare i palestinesi da tutti i territori occupati e quindi annetterli allo Stato ebraico. Per loro anche gli arabi israeliani dovrebbero essere scacciati”. Se in modo così forte e chiaro ha diritto di parlare un ex premier israeliano, a maggior ragione lo possono fare gli studenti dei licei milanesi o delle università americane senza per questo essere tacciati di fiancheggiare i movimenti antisemiti. Contestare le azioni del governo israeliano non significa avere pregiudizi nei confronti degli ebrei, anzi è motivo per mettere in risalto la capacità degli israeliani, anche in una fase cosi drammatica, di contrastare il terrorismo di Hamas con gli strumenti propri di una democrazia avanzata .

Pertanto, che cessi il massacro degli innocenti e continui il dibattito, anche acceso, sulla strategia del governo israeliano: è un’ulteriore occasione per dimostrare a molti stati arabi che la democrazia interna è la vera base della legittimazione a governare.

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