L a popolazione oggi nel nostro Paese è di 59 milioni, 33 milioni in più rispetto al 1861, anno dell’Unità d’Italia. Da allora molte altre cose sono cambiate dal punto di vista demografico. All’epoca, il tasso di mortalità era molto alto (30 morti ogni 1000 italiani) e metà dei decessi riguardavano i giovanissimi. Due bambini su cinque, purtroppo, non riuscivano ad arrivare ai cinque anni di età. La speranza di vita era breve e non arrivava ai 50 anni.

Con il passare del tempo, la popolazione cresce e raggiunge un vero boom demografico nei vent’anni dopo la Seconda guerra mondiale: è l’epoca dei baby boomer. In questo momento storico si fanno molti figli, quasi 3 bambini per donna. La bolla demografica si sgonfia durante gli anni 70 e la popolazione tende a stabilizzarsi progressivamente, la natalità via via diminuisce.

La speranza di vita è oggi decisamente più elevata: 81 anni per i maschi e un po’ di più per le femmine, circa 85 anni (Istat, dati al 2021). Si fanno meno bambini, poco più di un figlio per donna (1,25). In Italia, secondo l’ultimo rapporto Istat, i giovani di 18-34 anni d’età sono il 17,5% della popolazione, di meno rispetto alla media Ue che è pari al 19,6%. Siamo una popolazione di vecchietti, con oltre 16 milioni di pensionati che vivono con una pensione media di quasi 14 mila euro annui, poco più di mille euro al mese. Gli occupati sono circa 23 milioni, in sostanza, circa 15 ogni 10 pensionati.

I lavoratori contribuiscono al sistema pensionistico con 208 miliardi, ma le pensioni da pagare costano di più, 238 miliardi, si crea così un deficit di oltre 30 miliardi. Nel complesso, la spesa pensionistica pesa il 16% del PIL italiano.

Se ora incrociamo questi dati con le tendenze demografiche e pensionistiche di medio-periodo, emergono chiare criticità. Secondo le recenti previsioni della Ragioneria dello Stato e della Nota di aggiornamento del documento di Economia e Finanza (NADEF, 2023), per i prossimi venti anni la spesa pensionistica tenderà ad aumentare per diversi motivi. La popolazione italiana sarà in calo, diventerà più vecchia, crescerà il numero dei pensionati e anche la speranza di vita si allungherà. Gli occupati non cresceranno abbastanza da compensare l’incremento del numero dei pensionati. Il rapporto tra pensionati e occupati diventerà più elevato.

In sostanza, il patto intergenerazionale, per il quale le pensioni sono pagate dai lavoratori attivi, si incrina progressivamente e così aumenta il deficit pensionistico e l’incidenza della spesa pensionistica rispetto al PIL. Le riforme degli anni passati hanno certamente migliorato la sostenibilità delle finanze pensionistiche, ma le recenti misure sui pensionamenti anticipati (quota 100 e successive) hanno agito in senso contrario. Proprio ieri, illustrando una manovra non facile da varare per il governo Meloni, il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti ha spiegato che sui pensionamenti anticipati ci saranno “forme rafforzate e restrittive” rispetto al passato. Inoltre, è stata anche decisa una rivalutazione consistente sugli assegni per l’inflazione.

Insomma, con una popolazione in diminuzione con sempre meno giovani e occupati e più pensionati il bilancio pensionistico entra in tensione e si scarica sul debito pubblico, dove però la coperta è già molto corta. Oggi il debito pubblico si attesta a oltre il 130% del PIL e sarà certamente lunga e complessa la sua riduzione nel tempo. Le previsioni segnalano un miglioramento del quadro dal 2045, sostanzialmente quando l’effetto dei boomer sarà sparito. Forse però è davvero una data troppo distante per ispirare ottimismo, la realtà attuale dei numeri giustifica invece un certo allarme.

Vi sono diverse azioni che possono essere attivate per migliorare la sostenibilità delle pensioni: dagli interventi in materia di occupazione, al contrasto della fuga dei giovani all’estero, alle politiche di supporto alla famiglia, al miglioramento della vita dei lavoratori più anziani, al sostegno dell’ingresso di immigrati con buone potenzialità lavorative che possano aumentare la popolazione degli occupati. Occorre allora agire con attenzione e intelligenza strategica per mantenere (aumentare) l’appetibilità del nostro Paese come terra di opportunità.

Università di Cagliari

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