L o spot della Rai è efficace nel mostrare la fatica delle donne costrette a salire su una scala mobile che va in discesa. Il video dice molto sulla parità che non c’è ma non dice tutto, anzi, per certi versi è perfino fuorviante perché mostra le donne, una, finalmente in cima. Quando invece il problema non è (solo) arrivare in alto ma camminare a fianco ai loro colleghi uomini. Le rilevazioni della Odm Consulting che ogni sei mesi pubblica un’indagine sono significative: il gender gap si è ridotto fra il 2017 e il 2019 ma ha ricominciato a crescere durante la pandemia. (…)

C onsiderando la retribuzione fissa media, un operaio guadagna il 12,7 % in più della sua collega; fra i dirigenti il divario raggiunge i 13 mila euro all’anno; tra i quadri la differenza è minore (5,4 per cento), un impiegato guadagna invece il 9,4 per cento in più.

Il dato viene fuori in concomitanza con la Giornata internazionale della donna – parentesi: non è una festa - ma non per tutti è motivo di indignazione. Basti guardare i commenti sotto la notizia pubblicata sui social: nessuno è in grado di contestare i numeri che vengono, comunque, bollati come fake news. In sostanza, se le donne guadagnano meno è perché lavorano meno. Altro che spot, dunque: il problema è culturale, e non sarà facile risolverlo. Non nel breve periodo. Visto che stiamo parlando del web, restiamo nel mondo virtuale che ha replicato in peggio i difetti di quello reale, e guardiamo l’Osservatorio Vox che ogni anno analizza i commenti su Twitter: il 93% dei 630.000 post visionati contengono messaggi offensivi, il 69,1% dei quali sono rivolti alle donne. E se si conferma che gli hater entrano in azione tutte le volte che c’è un femminicidio, per prendersela con la donna vittima, sia chiaro, il picco di messaggi di odio nel 2022 si è avuto con la nomina di Giorgia Meloni a presidente del Consiglio dei ministri. L’analisi precede l’elezione di Elly Schlein alla segreteria del Partito Democratico, ma se il buongiorno si vede dal mattino è facile prevedere nuvole nere. Eppure Meloni e Schlein hanno segnato un cambio di passo nella politica italiana ma, forse, la rottura del tetto di cristallo non basta a cambiare la mentalità di un Paese. Che deve fare i conti con una diffusa, e troppo spesso non denunciata (e chiediamoci perché) violenza domestica di cui ci rendiamo conto solo quando sfocia nel femminicidio. Sarà pure una brutta parola, questa, ma è servita a inquadrare il fenomeno, costringendo anche i più riottosi ad ammettere che, sì, c’è un problema. E non si può pensare di risolverlo con sentenze e condanne, bisogna piuttosto attrezzarsi e cominciare in modo organico dalle scuole, Elementari possibilmente. Così, magari, non succederà che la pianista Beatrice Rana debba denunciare quel “bella e brava” che resiste. Accanto al giudizio professionale c’è sempre quello estetico, e l’ansia – dice - raddoppia perché devi pensare non solo all’esecuzione ma anche ad abito, trucco e capelli. Agli uomini non succede. E non succede, a loro, neppure quello che ha vissuto Yuja Wang: davanti a una straordinaria esecuzione al piano i critici si sono soffermati sul cambio d’abito.

Ma siccome viviamo in una società iperconnessa non possiamo guardare soltanto a casa nostra. La rivoluzione delle iraniane, che dopo mesi scopriamo intossicate a centinaia nelle scuole dal regime che non le vuole vedere in piazza senza velo, per non parlare di quelle arrestate, violentate, mutilate o uccise; la disperazione delle afgane alle quali è stata tolta perfino la possibilità di studiare, annientate in quanto donne, impossibilitate a prendere qualunque decisione; la traged ia delle giovani nigeriane, brutalizzate da Boko Haram: non dobbiamo voltarci dall’altra parte. La commissione delle Nazioni Unite sullo status delle donne (Csw), istituita nel 1946, discute ogni anno di disuguaglianze, violenze e discriminazione delle donne nel mondo: quest’anno si concentra sull’accesso limitato delle donne alla tecnologia, la violenza online, la sotto rappresentazione e i pregiudizi di genere nelle industrie tecnologiche. I numeri sono impressionanti: circa 383 milioni di donne vivono in condizioni di estrema povertà, anche a causa – dice l’Onu - delle persistenti disuguaglianze, e una donna viene uccisa ogni 11 minuti da un membro della sua famiglia. La considerazione finale è sconcertante: ci vorranno tre secoli per raggiungere l’uguaglianza di genere.

Per favore, l’8 marzo, non parlate di festa.

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