È la notte fra il 23 e il 24 febbraio 2022 quando il presidente russo, Vladimir Putin, dà l’ordine di invadere l’Ucraina.

Alle 5:05 ora locale le sirene anti-aeree e il frastuono delle prime bombe sganciate dall’aviazione russa svegliano i cittadini, le truppe di Mosca danno il via all’invasione. La guerra è arrivata in Europa.

Quella che tuttavia dovrebbe nascere come operazione a breve termine, un blitz delle truppe alla conquista di Kiev, si trasforma in una guerra di trincea sanguinaria, che non risparmia la popolazione civile lasciando dietro di sé dolore e macerie e il dramma umanitario di migliaia di sfollati. Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ottiene corposi aiuti militari dalle nazioni occidentali e dalla Nato, mentre la Russia viene stata sottoposta a numerose sanzioni. Che tuttavia non sembrano convincere il Cremlino a cambiare strategia.

Pesantissimo il conto in vite umane anche per Putin, che a fatica riesce a nascondere all’opinione pubblica un bilancio fallimentare sia sul piano militare, sia su quello politico.

Vediamo, nel dettaglio, le tappe principali dei dodici mesi di conflitto.

Febbraio 2022, comincia l’invasione

È il 21 febbraio di 12 mesi fa quando il presidente Vladimir Putin annuncia il riconoscimento dell’indipendenza dall’Ucraina delle due regioni pro-russe secessioniste del Donbass. La notizia arriva dopo un referendum considerato una farsa dalle nazioni occidentali. Tre giorni più tardi, la Russia lancia l’invasione con un discorso del leader russo alla nazione nel quale Putin parla della necessità di “demilitarizzare e denazificare” l’Ucraina. Le prime esplosioni colpiscono Kiev, Kharkiv, Odessa e il Donbass. Le forze russe entrano dalla regione di Kharkiv, dalla Bielorussia e dalla Crimea, fià annessa nel 2014.

E mentre il mondo si interroga sull’evoluzione del conflitto, l’esercito russo punta verso la centrale di Zaporizhzhia evocando per la prima volta a chiare lettere la minaccia nucleare.

L’assedio di Mariupol

Si apre a marzo il calvario della città di Mariupol, dove vive mezzo milione di persone con un porto, affacciato sul mare di Azov, considerato strategico per ragioni militari. La battaglia distrugge la città e chi rimane intrappolato vive un inferno, durato fino alla fine di maggio, senza cibo né acqua. Un teatro con 1.200 persone rifugiate all’interno viene colpito da un missile, e saranno almeno 600 i civili che perdono la vita. Bombe anche sull’ospedale: le scene delle donne incinte, gravemente ferite, che abbandonano la struttura distrutta dai missili, fanno il giro del mondo.

L’orrore di Bucha

Tra la fine di marzo e l’inizio di aprile, con il progressivo ritiro delle truppe russe da alcuni dei territori assediati, numerosi cadaveri di civili anche seppelliti in fosse comuni vengono scoperti a Bucha, città non lontano da Kiev. La scoperta suscita indignazione nel mondo intero, ma il Cremlino nega ogni addebito e parla di una “messa in scena” da parte del governo ucraino. Zelensky parla di “crimini di guerra” che a suo avviso “saranno riconosciuti come un genocidio”. Altre fosse comuni saranno successivamente scoperte in altri luoghi dell’Ucraina.

L’assedio alla fabbrica Azovstal e la richiesta di adesione alla Nato di Ucraina e Finlandia

Il 21 aprile Putin rivendica la conquista di Mariupol mentre duemila militari ucraini si asserragliano nella fabbrica Azovstal, insieme a un migliaio di civili. Il 3 maggio i soldati russi lanciano un potente attacco, proprio nei giorni in cui Zelensky e il primo ministro della Finlandia annunciano la volontà di aderire alla Nato, aprendo una questione che coinvolgerà anche diverse diplomazie internazionali. 

La questione dell’allargamento della Nato a Est provoca le reazioni della Turchia. La nazione guidata da Recep Tayyip Erdogan manifesta le proprie riserve, accusando in particolare Helsinki di aver ospitato alcuni membri del Partito dei lavoratori del Kurdistan (Pkk), considerato di matrice terrorista da Ankara. La Svezia, al contempo, sospetta la Turchia di aver foraggiato l’organizzazione curda.

L’assedio all’acciaieria Azovstal si concluderà a fine maggio, con la resa dei combattenti e la loro cattura da parte delle forze russe.

Ucraina e Moldavia vengono candidate a entrare in Europa

A giugno i leader europei raggiungono un accordo per concedere lo status di nazioni candidate all’ingresso nell’Ue all’Ucraina e alla Moldavia. L’annuncio arriva dal presidente del Consiglio europeo Charles Michel, che parla di “momento storico”. Il 29 giugno arriva anche l’invito della Nato a Svezia e Finlandia ad aderire all’alleanza.

I referendum nei territori occupati e le annessioni

A settembre la Russia organizza dei referendum nelle regioni occupate di Donetsk, Luhansk, Kherson e Zaporizhzhia: ai cittadini viene chiesto se vogliono essere annessi alla Federazione Russa. Una nuova consultazione definita “farsa” dal presidente Zelensky e dalle nazioni occidentali, saranno in molti a parlare di voto dei cittadini sotto la minaccia delle armi. La vittoria dei sì è schiacciante, e Punti annuncia l’annessione.

L’Ucraina riguadagna terreno e riconquista Kherson

Nel corso dei mesi autunnali sarà però l’esercito ucraino a riguadagnare terreno, forte anche del supporto degli aiuti internazionali. Emblematica è, in questo senso, la ripresa del controllo della regione occidentale di Kherson. A ottobre un’esplosione distrugge parzialmente il ponte di Crimea, infrastruttura chiave e simbolica che collega la Russia alla penisola annessa nel 2014. Putin accusa immediatamente Kiev di essere responsabile dell’attacco, che viene definito un atto terroristico. Il ponte era stato utilizzato, fin dall’inizio del conflitto, per trasportare equipaggiamenti militari dell’esercito di Mosca verso le zone di combattimento in Ucraina. La reazione della Russia sarà durissima, con una pioggia incessante di bombe sull’Ucraina.

Il caso dei missili caduti in Polonia

Il 15 novembre si apre il caso dei due missili caduti sul territorio delle Polonia, al confine con l’Ucraina, che causano la morte di due persone. Per molte ore si pensa possa trattarsi di un errore dei russi, ma il quadro sarà in realtà diverso: Varsavia spiega dovrebbe trattarsi di missili antiaerei S-300 lanciati dall’Ucraina e finiti per errore sul territorio polacco.

La visita di Zelensky a Washington e la morte del ministro degli Interni ucraino

Se l’anno si chiude con la visita di Zelensky a Washington, da Biden, per raccontare gli orrori di un anno di combattimenti e ricevere nuovo sostegno dal popolo americano, a gennaio vengono diffusi i terribili dati del conflitto: in quasi un anno di guerra sarebbero 180mila i morti tra i russi e 100mila tra gli ucraini

Il 18 gennaio il dramma nel dramma: il ministro degli Interni dell’Ucraina, Denis Monastyrsky, muore in un incidente di elicottero a Brovary, nei pressi di Kiev. Sul mezzo viaggiavano in nove, tra cui anche il suo vice Yevhen Yenin e il segretario di Stato del ministero degli Interni, Yuri Lubkovich.

L’invio degli armamenti pesanti e Giorgia Meloni a Kiev

Si apre poi la questione dell’invio di armamenti pesanti dall’occidente in Ucraina, con Germania e Usa che prima frenano e poi decidono di supportare la richiesta Zelensky. Anche l’Italia conferma il pieno supporto alla causa Ucraina e il nuovo invio di armi, anche con le visite, appena due giorni fa, prima di Biden e poi della premier Giorgia Meloni a Kiev.

(Unioneonline/v.l.)

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