Sono le proteste più violente dal 1997, e cioè da quando Hong Kong è tornata sotto la sovranità cinese, quelle verificatesi per le strade dell'ex colonia britannica a partire da ieri, e cioè nel giorno in cui il Parlamento locale, pro Pechino, era chiamato ad analizzare in seconda lettura il progetto di legge che autorizzerebbe le estradizioni verso la Cina continentale.

Decine di migliaia di dimostranti, perlopiù giovani e vestiti di nero, sono tornati in strada dopo la protesta di domenica per dire no a questa legge, la cui approvazione era prevista per il 20 giugno: hanno bloccato le grandi arterie provando anche a fare irruzione in Parlamento; gli agenti hanno lanciato proiettili di gomma e gas lacrimogeni.

Il Consiglio legislativo LegCo, cioè appunto il Parlamento locale, ha rimandato la discussione sine die, senza fissare una nuova data per il dibattito. Ma Carrie Lam, la governatrice di Hong Kong, esclude di ritirare il testo.

"Le azioni rivoltose che danneggiano la società pacifica, ignorando la legge e la disciplina - ha annunciato in una dichiarazione video - sono inaccettabili per qualunque società civilizzata".

La legge autorizzerebbe le estradizioni verso i Paesi con cui non ci sono accordi in tal senso, compresa appunto la Cina continentale. Per l'esecutivo dell'ex colonia britannica, oggi regione semi-autonoma cinese, questa legge deve colmare un vuoto giuridico ed è necessaria in particolare per consentire l'estradizione a Taiwan di un cittadino di Hong Kong ricercato per omicidio.

I detrattori, però, sono convinti che questo dossier dell'omicidio sia solo un pretesto per soddisfare Pechino e che la legge metterà i cittadini in balia di un sistema giudiziario cinese opaco e politicizzato. Tanto più che i sospetti verso Pechino si sono rafforzati per una serie di sparizioni di personalità critiche verso il potere cinese, fra cui un gruppo di editori dissidenti e un miliardario, che sono poi ricomparsi in detenzione nella Cina continentale.

"Esorto il governo di Hong Kong ad ascoltare le preoccupazioni della sua popolazione e gli amici della comunità internazionale e a prendersi il tempo di riflettere su queste misure controverse", è l'appello lanciato dal ministro degli Esteri britannico Jeremy Hunt.

In base all'accordo del 1984 fra Londra e Pechino, Hong Kong gode di una semi-autonomia e di libertà che non esistono nella Cina continentale, in teoria fino al 2047. Da circa 10 anni, però, la città è teatro di un tumulto politico a causa dell'ansia generata dalle crescenti interferenze di Pechino.

(Unioneonline/v.l.)
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