Non ci resta che la danza della pioggia. O pregare, come ha fatto ieri sera a Sassari l'arcivescovo.

Nel Nord-Ovest dell'Isola, così come nel Sulcis, possono contare solo su qualche pozzanghera sul fondo degli invasi. E si versano lacrime di coccodrillo, proprio come a Roma, la cui sete - molto più rara della nostra - ha dato visibilità planetaria al dramma della siccità.

Nella nostra Sardegna non piove da febbraio, le campagne sono gialle da fine aprile. Ma, grazie al buon Dio e a una politica lungimirante che puntò sull'"interconnessione tra bacini", da più parti le scorte ci accompagneranno sino all'autunno.

E noi, tutti noi, popolo di cicale, continueremo a tenere la doccia aperta mentre ci insaponiamo. Tanto - è il nostro alibi - se non sprechiamo noi ci penseranno le condotte a perdere 4 o 5 litri su 10 nella corsa dal potabilizzatore al rubinetto di casa.

È innegabile il recente sforzo economico per provare a migliorare il sistema distributivo, ma è anche vero che la storia recente non ci ha insegnato nulla.

Altrimenti, in ossequio ai tempi degli appalti e della burocrazia, qualche mese fa non sarebbe stato svuotato un lago del Nuorese riempito grazie alla neve appena sciolta.

Era successo anche l'anno scorso in Baronia. Una vergogna, vero? Ed è sempre la burocrazia - ma anche certi talebani dell'ambientalismo - che ci costringe dopo quasi trent'anni a non vedere benefici dalle dighe di Orgosolo e Sarroch. Incompiute. Mangiasoldi. Inutili. Come i dissalatori voluti negli anni Novanta per far fronte alle cicliche ondate di siccità. O come Simbirizzi, nelle campagne tra Quartu e Quartucciu. Si spese un patrimonio per collegarlo con il depuratore di Is Arenas.

Basta sprechi, si disse in pompa magna, ecco i reflui per l'agricoltura! La realtà? I campi non sono mai stati irrigati con quel bacino artificiale che, "contaminato" dai liquami pur depurati, è ormai escluso dal sistema idropotabile. Si capisce perché i sardi abbiano sempre sete. Anche di giustizia.
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