Era la nave della continuità territoriale per trasportare in Sardegna carri armati e missili. Dai radar del porto di Cagliari, però, è sparita il 23 maggio del 2019. I tracciati satellitari registrano l’ultimo attracco in terra sarda, per l’ennesimo carico di cingolati, con tanto di obice e container di armi, alla vigilia dell’ennesima scorribanda nei poligoni militari della Sardegna. La nave gialla a servizio del Ministero della Difesa, dedicata a trasportare armi e munizioni dal continente all’Isola dei giochi di guerra, da allora si è letteralmente dileguata. L’Altinia, sorella della Major, è una delle due navi che da sempre svolgono il ruolo di Caronte dall’Italia all’Isola di Sardegna per traghettare, da una sponda all’altra del Tirreno, una quantità inusitata di mezzi armati indispensabili per bombardare a dismisura la terra dei Nuraghi, da Teulada a Quirra.

Sparita nel nulla

In un batter d’occhio quella macchia gialla nel Mediterraneo è scomparsa nel nulla, nonostante fosse stata da sempre al servizio di questo inutile e dispendioso sali e scendi dal resto d’Italia verso la terra dei fuochi d’artificio di Stato. Gli esperti internazionali di shipping l’hanno intravvista nientepopodimeno che a Bandar Abbas sullo Stretto di Hormuz. Trasformata senza colpo ferire in una vera e propria nave da guerra. A novembre dello scorso anno, in terra d’Iran, l’inaugurazione con tanto di taglio del nastro. La nave paglierina che solcava il mare di Sardegna ha cambiato radicalmente colore, e non solo.

Grigio topo

Ora è grigio topo, come si impone ad un’ammiraglia militare navale d’alto rango. Da nave civile, di proprietà del cantiere italiano Visentini, dedita al trasporto di armi per conto di un appalto del Ministero della Difesa italiano, a unità speciale della Marina del Corpo della Guardia Rivoluzionaria Islamica. Cambia nome e missione, da Altinia a Shahid Roudaki, da nave per il trasporto di materiale bellico di un paese occidentale ad uno inserito a pieno titolo tra gli stati canaglia. In ballo c’è la più grave delle violazioni: vendere a Paesi sotto embargo, come l’Iran, mezzi a doppio uso per trasformarli, poi, in quella che viene ora spacciata come la più importante ammiraglia da guerra della Marina iraniana. Di certo dietro questa ennesima vicenda c’è un caso che va ben oltre la spy story internazionale.

Ministero distratto

Ci sono partite che non possono sfuggire ad un Ministero come quello della Difesa che già di suo dovrebbe sovrintendere ai rapporti che intercorrono tra i suoi fornitori di servizi, vedi le navi Altinia e Major, e altri Stati, come in questo caso l’Iran, annoverato tra i nemici dell’Occidente.

Soldi ai privati

Per anni lo Stato italiano ha pagato a queste società milioni e milioni di euro per navi, molto spesso, fuori uso e il più delle volte utilizzate solo per far girare il contatore dei soldi pubblici destinati a foraggiare il fortunato armatore di turno. Il caso dell’Altinia è emblematico due volte. Non solo per esser finita ora nelle mani dell’Iran, ma per aver esposto l’Italia ad una delle figuracce più scabrose dell’inutile presenza nello scenario militare internazionale. Basti pensare a quanto è successo con la smobilitazione italiana in Afghanistan nel 2014. E’ il sei maggio quando il mercantile Altinia prende fuoco nel Golfo di Aden. Scappano tutti e lasciano la nave in balia del mare aperto, ovviamente carica di tutto il materiale militare italiano.

Salvati dai cinesi

A salvare l’equipaggio ci pensa la fregata cinese Chao Hu. La nave battente bandiera italiana viene recuperata solo dopo una settimana. Vagava in mare aperto con tutto l’arsenale a bordo. I cinesi nel report non furono omissivi e ricordarono che l’Altinia, già nel 2013, si fermò per un guasto in mezzo al mare dei pirati. Anche allora non c’erano navi di scorta italiane. Ad assisterla una fregata tedesca. Ora, l’ex italiana Altinia è sempre carica di armi, questa volta dell’Iran che, però, l’ha dotata di quattro lanciamissili antinave gemelli a lungo raggio, sei droni Ababil-2, un elicottero Bell 212 e un cannone antiaereo a prua. Quella dell’Altinia è l’apoteosi del denaro di Stato dilapidato sull’altare delle armi e delle esercitazioni milionarie.

Armi in viaggio

Nei giorni in cui si prende atto che lo Stato fugge dalla continuità territoriale navale, e anche aerea, a servizio della Sardegna e dei sardi, si scopre che il Ministero della Difesa continua a spendere e spandere milioni di euro per l’anacronistica “continuità territoriale delle armi”. Non quattro euro ma una valanga di denaro, in grado di far arrossire l’elemosina dedicata ai trasporti civili da e per la Sardegna. Il nuovo bando, come si conviene a questo genere di gare d’appalto, è stato ovviamente pubblicato in pieno agosto.

Trenta milioni

L’ammontare per un anno di trasporto via mare di materiale bellico da una parte all’altra è di ben 20 milioni di euro, con un’ipotesi di proroga già inserita nel capitolato di sei mesi, per altri 10 milioni di euro. In tutto 30 milioni di euro per trasbordare verso l’Isola di Sardegna armi di ogni genere.

Missione Sardegna

Del resto è facile intuire che la destinazione di questa continuità territoriale armata è tutta rivolta a Teulada e Quirra, non foss’altro che l’80% di questo servizio nell’ultimo periodo si è svolto tutto nel Mediterraneo. E considerato che il resto delle movimentazioni è previsto in treno, è facile desumere che le navi dovranno essere tutte al servizio del bombardamento della penisola interdetta di Capo Teulada e Perdasdefogu.

Il vizio estero

Resta un capitolo aperto. Nel bando di gara che scade il prossimo 4 ottobre il Ministero della Difesa fa esplicito richiamo alle missioni internazionali per giustificare questa smisurata spesa per questa sottospecie di continuità territoriale marittima per carri armati. L’affermazione è altisonante, quanto surreale: «La sicurezza per l’Italia, per l’Europa e per i Paesi Alleati si costruisce, infatti, non solo attraverso il controllo degli spazi vitali di interesse nazionale, ma, soprattutto, contribuendo ad esportare ed instaurare maggiore stabilità e benessere in aree alle volte molto distanti dal territorio metropolitano».

La resa afghana

Le immagini della resa dell’esercito afghano, addestrato da vent’anni di missioni internazionali italiane, sono la più eloquente dimostrazione di una valanga inutile di soldi spesi con navi milionarie e infiniti arsenali. Nonostante questo il Ministero della Difesa, probabilmente non pago della lezione afghana, non vuole dismettere il copioso bilancio delle missioni internazionali, con l’unico obiettivo di continuare a finanziare il trasporto di armi su e giù per la Sardegna.

Sardegna a nuoto

In terra di Nuraghi, dunque, lo Stato continua ad occuparsi, a suon di decine di milioni di euro, di continuità territoriale per le armi e le merci pericolose, dimenticandosi della più importante delle missioni, quella di dare trasporti efficienti e a prezzo equo alla Sardegna e ai sardi.

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