"Rwm esporta solo bombe legali", intervista all'ad Fabio Sgarzi
"Chi chiede la riconversione della Rwm Italia mente sapendo di farlo. Nessun cambio di attività è possibile, la prospettiva sarebbe solo la chiusura della fabbrica e il licenziamento dei dipendenti".
Fabio Sgarzi è da otto anni amministratore delegato della contestatissima società che fabbrica armamenti. La mente è a Ghedi, provincia di Brescia, a Domusnovas lavorano oltre trecento dipendenti: metà a tempo indeterminato, gli altri attraverso agenzie interinali.
A fine dicembre il New York Times ha rimesso l'azienda nel mirino documentando l'uso di ordigni costruiti in Sardegna nella guerra in Yemen.
Un conflitto fuori dall'ombrello Onu che conta già sedicimila vittime.
Per inciso: le bombe sono state lanciate dall'Arabia Saudita.
"L'articolo non aggiunge novità rispetto al dibattito sui giornali, sulla Rete e in Parlamento tra luglio e settembre. Noto che è stato pubblicato il giorno successivo allo scioglimento delle Camere e ha dato il via alla gara tra alcuni politici italiani su chi abbia contribuito di più alla sua realizzazione".
Un complotto del quotidiano statunitense?
"Mi ha colpito la singolare coincidenza con l'inizio della campagna elettorale. L'autore aveva contattato la società mesi fa per chiedere informazioni, preannunciando la pubblicazione del servizio giornalistico per agosto-settembre. Chissà perché attendere il 29 dicembre. Curioso, no?".
Vi criticano anche il senatore Roberto Cotti e il deputato Mauro Pili.
"La libertà d'opinione è legittima. Però l'incontrollata visibilità mediatica e questo accanimento accrescono i rischi per la sicurezza dello stabilimento. Le dirette Facebook dell'onorevole Pili durante i trasporti di materiale esplosivo, per esempio, contribuiscono ad alimentare i pericoli. In tutto il mondo ci sono folli che si mettono alla guida di un mezzo pesante per scagliarsi contro i passanti, figuriamoci cosa potrebbero progettare vedendo immagini di questo tipo".
Sta dicendo che Pili aizza i terroristi?
"Sicuramente crea allarmismo ingiustificato, è il cronista di molti trasporti - ultimo quello del 3 gennaio spacciato falsamente per nostro - per i quali viene paventato un pericolo, mentre tutti si svolgono nel pieno rispetto delle norme di sicurezza pubblica e sotto la supervisione delle forze di polizia. Mi sembra che si stia esagerando".
Accusano la Rwm Italia di esportare in Arabia Saudita violando leggi e risoluzioni europee.
"Assolutamente no. Ricordo soltanto che il Parlamento e il governo si sono chiaramente espressi motivando la legittimità delle autorizzazioni all'esportazione. Il tema era già stato oggetto di una serie di esposti alla magistratura che presumo siano stati archiviati. Il fatto che la Rwm continui ad operare è la conferma del comportamento corretto dell'azienda".
La capogruppo Rheinmetall delega la produzione di bombe allo stabilimento sardo perché la Germania ne proibisce l'esportazione?
"È una falsità. Le bombe d'aereo non sono mai state prodotte in Germania dopo la seconda guerra mondiale. In Italia l'attività iniziò negli anni Ottanta con la Società Esplosivi Industriali, che alla fine del 2010 vendette il ramo d'azienda Difesa al gruppo Rheinmetall".
La Germania vieta l'esportazione?
"Non posso parlare per il governo tedesco ma non penso siano mai esistiti gli elementi per speculare sulla questione".
Il fatturato?
"Settantadue milioni nel 2016, cresciuto nel 2017 assieme al numero dei dipendenti".
Di quanto si ridurrebbe se crollassero le esportazioni in Arabia Saudita?
"Avrebbe un contraccolpo, ma la società è fornitrice di molti altri Paesi oltre all'Italia, che apprezzano la tecnologia e la qualità dei nostri prodotti".
Quali?
"Diversi, dentro e fuori l'Unione Europea. Per ragioni di riservatezza nei confronti dei nostri clienti non posso dare ulteriori dettagli".
Cosa producete oltre le bombe per aerei?
"Sistemi per difesa e di sminamento subacquei, cariche esplosive per missili e siluri".
Chi vende all'Arabia Saudita?
"Tutti. I Paesi del Medio Oriente sono i maggiori compratori da decenni. C'è la gara da parte di aziende e governi di tutto il pianeta ad accaparrarsi le commesse. Questo permette il mantenimento di una tecnologia molto costosa".
Come si svolge una trattativa per la vendita di armi?
"Solitamente sono gare pubbliche di appalto alle quali partecipano più contendenti di vari Paesi. Talvolta, in misura minore, il cliente avvia trattative dirette. Ad ogni modo, per noi qualunque fase della fornitura è regolamentata dalle prescrizioni della legge 185 del 1990".
Lei partecipa agli incontri?
"Dipende dall'importanza della trattativa".
La pace è un pessimo affare, mentre il vostro settore non va mai in crisi.
"Questo è un pregiudizio. Ci sono storicamente periodi di picco, altri di valle".
C'è sempre una guerra in corso.
"Non è vero che quando c'è un conflitto aumenta la produzione. È un mercato molto complesso che dipende da molti fattori, semplificando troppo si corre il rischio di cadere nei luoghi comuni".
Perché la Sardegna è stata scelta come sede della fabbrica?
"È arrivata nel gruppo con l'acquisizione del ramo d'azienda Società Esplosivi Industriali".
Rapporti con i Comuni di Domusnovas e Iglesias?
"Buoni con entrambi. Molto collaborativi, in particolare, con Domusnovas".
Iglesias?
"Sostanzialmente di normale amministrazione. Non nascondo che mai ci saremmo aspettati che un'istituzione pubblica sponsorizzasse la riconversione di una fabbrica che opera nel rispetto delle leggi, com'è accaduto nel luglio scorso. Comunque, gli uffici tecnici comunali si sono mossi nel solco della legge e hanno rilasciato le concessioni edilizie richieste. Certo, l'iter delle pratiche talvolta è più lungo del previsto rischiando di vanificare i progetti di investimento, che sono legati ai tempi della loro esecuzione".
Minaccia di fare le valigie se non avrà una corsia preferenziale?
"Assolutamente no. Non chiedo scorciatoie, né forzature, ma neppure inutili penalizzazioni. Stiamo investendo in impianti, lavoro e tecnologia, chiediamo ai vari enti che semplicemente tengano fede al proprio ruolo pubblico in modo collaborativo per accelerare là dove possibile i tempi di rilascio delle autorizzazioni. Senza sconti, sia ben chiaro".
È vero che è stata pianificata la chiusura dello stabilimento sardo per delocalizzare in Arabia Saudita?
"Un'altra fake news. Il gruppo Rheinmetall non ha impianti produttivi in Arabia Saudita. La fabbrica di cui si è parlato in alcuni articoli negli ultimi giorni è del governo saudita. Qualche anno fa ha semplicemente acquistato attrezzature più moderne dalla società Rdm, che fa parte del nostro Gruppo".
Come giudica la proposta di riconversione?
"Un furbo e ingannevole slogan propagandistico del Comitato di riconversione della Rwm . È impossibile riconvertire la fabbrica. Gli impianti possono produrre solo ciò per cui sono stati progettati, l'unica alternativa alla situazione attuale è la chiusura. Nuovi posti di lavoro non si creano automaticamente chiudendo le realtà produttive in attività, come mi pare racconti bene la storia del Sulcis-Iglesiente".
Perché avete tentato di saltare la procedura di Valutazione di impatto ambientale per il nuovo campo prove?
"Non abbiamo tentato di saltare alcuna procedura. Secondo la nostra interpretazione all'avvio della richiesta di concessione edilizia, l'opera non rientrava tra quelle per cui è prevista la procedura di Via. Di diverso avviso è stata la Regione. Ora sta esaminando i documenti, siamo in attesa del responso. Mi sembra che il procedimento rientri nel normale iter di analisi tecnica di un progetto, non capisco proprio l'allarmismo".
Rapporti con il territorio?
"Molto buoni. I dipendenti di recente hanno deciso di far sentire la loro voce perché si sentono ingiustamente strumentalizzati. Li accusano, in sostanza, di prostituirsi facendo un lavoro indegno per un tozzo di pane. Alcuni hanno tentato di colpevolizzarli, come se fossero responsabili delle morti in Yemen. Stiamo scherzando? Lavorano nel miglior modo possibile, il resto sono accuse scandalose".
Se qualcuno avesse remore etiche?
"Chi lavora con noi lo fa per libera scelta, sapendo benissimo cosa produciamo. Nessuno è costretto a restare se non se la sente".
Mai avuto uno scrupolo di coscienza?
"Non esiste il problema. Se scegli di lavorare in un'azienda della difesa sai dal primo giorno cosa si produce e quale sarà l'utilizzo. Se c'è uno scrupolo di coscienza, non puoi far altro che andare altrove. Ritengo profondamente sbagliato esprimere giudizi affrettati in un campo così complicato: si rischia il qualunquismo. È fondamentale rispettare la legge e fidarsi delle decisioni prese dalle istituzioni di riferimento, che hanno una visione della situazione che noi non abbiamo e non possiamo avere".
Paolo Paolini