Gli odori sono spariti, i sapori pure, e chissà se riprenderà a sentirli. Però è sparita anche la febbre, e ora non deve più coordinare la grande clinica di Brescia da 650 posti (di cui è vice direttore sanitario) dal letto di una delle stanze di degenza del settore Covid-19.

Ora è di nuovo in piedi, al timone sanitario di Poliambulanza (istituto ospedaliero privato di un'imponente catena convenzionata con il servizio sanitario nazionale) in attesa che il direttore sanitario si aggiudichi - si spera - la sua battaglia contro il coronavirus.

La stessa che ha appena vinto lui, il suo vice, in servizio e in malattia negli stessi giorni: come paziente e capo.

Sardo in trasferta - Di Sant'Antioco, 36 anni, laureato a Cagliari, fino a un anno e mezzo fa al vertice sanitario delle cliniche Korian-Kinetica di Quartu ("Sant'Elena" e "Policlinico Città di Quartu"), Angelo Meloni è un fiume in piena: di emozioni e di parole. «Non posso credere che sto parlando di me: non lo faccio da settimane, parlo solo di virus e di morte, che ho rischiato di incontrare». Se quella contro il virus è una guerra, Meloni è l'ufficiale al comando di prime, seconde e terze linee e ne sente la responsabilità. Anche il peso, considerato che è stanco vivo, e nemmeno si ferma a riflettere che rischiava di essere stanco morto. «Non ho mai provato tanta paura quanta quella che mi assalito nel passaggio dall'ecografo, che ha dato responsi orribili, alla Tac, che li ha confermati. Sono un medico, ho capito tutto subito: mi sentivo un condannato a morte».

Paziente e capo - Invece no. E allora regge tutto il giorno fino a tarda sera, resistendo a fatica davanti al troppo brutto al molto bello: «Ho visto scene terribili in terapia intensiva, ma ho visto medici e infermieri prodigarsi per far fare le videochiamate a pazienti vicini alla morte. Ma ho visto anche tanta solidarietà, ho visto un signore di settant'anni, contagiato dal Covid-19, scoppiare a piangere appena gli ho comunicato che era guarito: «Allora non muoio, allora non sto morendo».

Shock post traumatico - Quando il gioco si fa duro, anche i deboli devono giocare: anche perché si è tutti deboli, davanti al virus. «Quando tutto questo finirà, e prima o poi lo farà e chi sarà rimasto dovrà ripartire, avremo un'ondata di disturbi post-traumatici da stress nel personale sanitario e nei contagiati. L'emergenza continua non ti dà il tempo di ragionare, ma noi medici e infermieri so già che la pagheremo assieme ai guariti, che si sentiranno deboli e attaccabili». Detto da uno che è medico ed è stato paziente del Covid-19, non è da sottovalutare.

Offensiva violentissima - Prescia, dove Poliambulanza fa parte della rete ospedaliera pubblica perché è accreditata, dopo Bergamo è il centro più colpito dalla pandemia. «Siamo in frontiera», sospira Meloni, «qui la guerra è cominciata prima. Avevamo fatto un'enorme scorta di dispositivi di prevenzione individuale come ad esempio le mascherine, ma alla fine anche noi ci siamo trovati in difficoltà. Ci aspettavamo un violento attacco, invece è stato violentissimo. Ho visto medici e infermieri lavorare senza sosta per 15-16 ore, il loro amore verso i pazienti in terapia intensiva, che sono sempre soli e, se muoiono, saranno soli anche al funerale. Abbiamo dovuto farci venire idee, improvvisare tutti i giorni pur in una regione, la Lombardia, che pure è assolutamente un'eccellenza della Sanità. Abbiamo guardato morire duecento persone in quattro settimane, frustrati perché non potevamo far niente per loro». Rimpianti per la Sardegna? «Non è possibile fare esperienze a questi livelli, nella nostra Isola: la progettualità è bassa. E poi, sarebbe stato facile tenerla fuori dalla pandemia, ma ci si è mossi tardi». Intanto, il virus decima le popolazioni: «Ci sta portando via i nonni. Ora tutto è affidato a noi nipoti, e dovremo esserne all'altezza: dopo la pandemia, l'intero mondo sarà diverso, da rifondare. E gli anziani non ci saranno più. Dovremo farlo noi, senza passato».

Luigi Almiento

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