Non un cortocircuito ma un preordinato piano criminale che aveva raggiunto l’obiettivo: uccidere la moglie disabile, divenuta forse un peso del quale disfarsi perché inferma, continuamente «umiliata» e «mortificata» oltre che «privata delle cure e attenzioni essenziali». Così ecco la decisione di innescare l’incendio che il 2 agosto 2017 aveva causato la morte dell’infermiera 59enne Anna Maria Merola nella villetta nel rione Medadeddu a Carbonia

Il pm: «A giudizio»

Quel che inizialmente era un sospetto è divenuta un’accusa precisa formulata dal procuratore facente funzioni Paolo de Angelis, il quale ha chiuso le indagini e chiesto il rinvio a giudizio di Giuseppe e Roberto Demurtas, 63 e 29 anni, marito e figlio della vittima, il primo accusato di omicidio premeditato, tentato omicidio dei figli e delle loro fidanzate, incendio e maltrattamenti in famiglia; il secondo dei comportamenti vessatori inquadrati in quest’ultimo reato e commessi, nella ricostruzione investigativa, tra il maggio 2016 e l’agosto 2017, data della morte. Tesi formulata all’esito di testimonianze, intercettazioni, consulenze e accertamenti tecnici, sequestri e analisi approfondite dei carabinieri del Ris che passerà ora al vaglio della giudice delle udienze preliminari Lucia Perra di Cagliari davanti alla quale si presenteranno gli imputati, in compagnia degli avvocati difensori Lorenzo Perra e Agostinangelo Marras, e le parti lese (la famiglia originaria della donna), che si costituiranno parte civile col legale Raffaele di Tucci. Appuntamento al 12 gennaio.

Anna Maria Merola (L'Unione Sarda)
Anna Maria Merola (L'Unione Sarda)
Anna Maria Merola (L'Unione Sarda)

Il delitto

La tesi investigativa riassunta nel capo di imputazione è lunga tre pagine fitte di contestazioni. L’ipotesi che a innescare le fiamme fosse stato un cortocircuito legato a un malfunzionamento dell’impianto di climatizzazione ha perso consistenza man mano che andavano avanti gli accertamenti disposti dalla Procura. La donna era rimasta imprigionata nell’edificio mentre divampava il rogo. Erano le 4,30 del mattino e si erano salvati, riportando lesioni non gravi, il marito (pensionato, ex dipendente della Polizia), i due figli e le loro compagne. La vittima, che da tempo aveva problemi di deambulazione e si muoveva con difficoltà, era morta soffocata. I vigili del fuoco l’avevano trovata distesa sui gradini che portano al primo piano, vicino al servoscala, con i piedi rivolti verso il piano terra. Probabilmente stava tentando di sfuggire al fuoco, partito proprio dal pianterreno. Cosa era accaduto? L’esito attuale delle indagini è chiaro, pur nella sua provvisorietà. I frequenti controlli nell’abitazione da parte dei militari di Carbonia e del Reparto investigazioni scientifiche, oltre alle testimonianze secondo cui il clima in famiglia non era dei migliori, hanno portato all’attuale contestazione. Secondo il pm il fuoco era stato appiccato da Giuseppe Demurtas durante la notte mentre tutti dormivano e le fiamme e il fumo incandescente avevano causato la morte della moglie. La donna, che si trovava nella camera da letto del secondo piano, era stata sorpresa nel sonno: avendo gravi problemi di movimento (poteva muoversi solo con le stampelle), non era riuscita a fuggire ed era stata uccisa «dall’azione combinata di fuoco e fumo che avevano invaso casa e scale interne». Stesso rischio corso i due figli Roberto (in questo caso parte lesa) e Pietro con le fidanzate, le quali dormivano al primo e al secondo piano. Le ragazze per scampare all’incendio si erano buttate dalle finestre, i vigili del fuoco avevano salvato Pietro Demurtas da un’asfissia.

Giuseppe Demurtas (L'Unione Sarda)
Giuseppe Demurtas (L'Unione Sarda)
Giuseppe Demurtas (L'Unione Sarda)

Maltrattamenti

Quanto accaduto sembrerebbe essere legato al secondo reato (i maltrattamenti). Il marito e il figlio Pietro con «comportamenti quotidiani umiliavano, mortificavano e privavano di cure essenziali» la donna, «annientandone la personalità»; le toglievano denaro di sua proprietà, la rendevano «sottomessa» al marito, non si curavano delle sue patologie e delle necessità terapeutiche «per costringerla ad abbandonare l’abitazione» e «impossessarsi del patrimonio»; la «ignoravano», la «isolavano», non la salutavano, non mangiavano assieme; avevano tolto dalla cucina le bombole per cucinare costringendola a mangiare «solo cibi precotti», gestivano i suoi guadagni da infermiera, non acquistavano quel che le serviva per l’invalidità, la insultavano, le intimavano di lasciare la casa; minacciavano di farla interdire e ricoverare coattivamente, la facevano vivere «nel disordine e nella sporcizia», la controllavano con le telecamere, non eliminavano le barriere architettoniche e ne creavano di nuove con i mobili. Dagli avvocati nessun commento.

Andrea Manunza

© Riproduzione riservata