La Regione impugna davanti alla Corte costituzionale la legge sulle “materie prime critiche di interesse strategico”. Ed è scontro con il Governo. 

Materia del contendere, è il caso di dirlo, è tutto ciò che si trova dentro le miniere dell’Isola e nelle cave di granito, con le sue modalità di sfruttamento. Litio, stronzio, arsenico, tungsteno: metalli e componenti rari, sui quali si sono accesi gli appetiti. Lo Stato, con Il Ddl convertito in legge il 30 aprile, ha dichiarato il «preminente interessa nazionale nell’approvvigionamento» di quei materiali, cancellando così la competenza primaria della Regione su cave e miniere, sancita dallo Statuto: norma di rango costituzionale non emendabile con legge ordinaria. Non solo: Roma ha anche deciso di gestire le procedure ambientali, tagliando fuori la Sardegna da qualunque decisione. 

«La Regione, attraverso il suo assessore all'Ambiente Rosanna Laconi e di comune accordo con me e l’assessore all’Industria Emanuele Cani», spiega la presidente Alessandra Todde, «ha espresso un parere fortemente contrario - nel suo ruolo di coordinatrice della Commissione Ambiente, Energia e Sostenibilità (Caes) - all’impostazione del nuovo impianto normativo in sede di Conferenza Stato-Regioni»

Il motivo del dissenso «nasce dal mancato accoglimento di una serie di nostri emendamenti che miravano a rendere vincolante il parere delle Regioni nel procedimento autorizzativo, e a rendere obbligatoria l'intesa delle Regioni per l'approvazione del Piano Nazionale delle Materie prime critiche».

Nonostante l'opposizione della Sardegna, «il decreto ha ottenuto il parere favorevole della maggioranza delle altre Regioni e successivamente l'approvazione definitiva dalla Camera. La nostra Regione ha combattuto in solitudine la battaglia nel tentativo di far convergere le altre Regioni sulla necessità di emendare il testo del DL, purtroppo senza successo».

Secondo la governatrice «il governo, utilizzando impropriamente un decreto-legge, dispone una disciplina lesiva non solo del nostro Statuto e delle nostre competenze esclusive in materia di sfruttamento di cave e miniere, ma mina soprattutto la possibilità per noi sardi di tutelare ambiente e paesaggio. Infatti, il governo vuole escludere tali interventi dalla valutazione di impatto ambientale che la nostra Regione dovrebbe poter effettuare quando si tratta del proprio territorio. Un atteggiamento ricorrente in questi ultimi tempi, pericoloso e incurante degli impatti che tali disposizioni avrebbero sulla Sardegna». 

Da qui la decisione dell’impugnazione davanti alla Consulta. 

Enrico Fresu 

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