Parole chiare quelle che lo scrittore Roberto Saviano ha affidato a un video sui suoi canali social: dietro l’assalto a due portavalori sull’Aurelia a San Vincenzo (Livorno) c’è una banda di rapinatori sardi. Un settore, afferma Saviano, che è in mano ai foggiani e ai gruppi, per quanto riguarda l’Isola, in arrivo dal sassarese e da Desulo.

Parole che hanno destato reazioni contrastanti e avverse, in testa quelle del sindaco della comunità desulese. Ma Saviano non fa un passo indietro e afferma: «Raccontare il crimine che avviene in Barbagia è diffamare un territorio? Al contrario è essere leali, quello che non sta facendo il sindaco - e moltissimi altri - a non raccontare questa storia».

Saviano, cosa le ha fatto dire con tanta sicurezza che ci fosse una matrice sarda dietro l’assalto?

«Le modalità operative e l’accento che hanno gli assalitori nel video. Chi opera in quei territori sono organizzazioni sarde o cerignolane, foggiane. Sono decenni che le organizzazione sarde assaltano i portavalori».

Il sindaco di Desulo Gian Cristian Melis ha preso una forte posizione: «Un noto giornalista d'inchiesta, sedicente romanziere, ha iscritto Desulo e Sassari nel registro degli indagati sui social per la rapina ai portavalori in provincia di Livorno. L’accusa è affidata ad alcuni video, postati sui social. Attendiamo di conoscere gli elementi d’indagine a carico. Poi proveremo a difenderci».

«Il sindaco fa una cosa molto furba che si fa in questi casi. Fingere di difendere un territorio ma di fatto mantenere una prospettiva omertosa. L’espressione sedicente romanziere è la stessa che ha usato il camorrista Francesco Bidognetti nei miei confronti in un documento letto pubblicamente in un’aula giudiziaria. È interessante questa comunione di linguaggi».

Da anni come sardi cerchiamo di scrollarci di dosso l’equazione sardi-banditi. Che importanza ha dare una collocazione geografica alla criminalità?

«Luigi Patronaggio, procuratore generale di Cagliari, nel 2024 scrive: il fenomeno delle rapine non riguarda solo Sassari ma investe tutta la Sardegna. Un fenomeno che presenta diverse analogie con i sequestri di persona, che mette a repentaglio la sicurezza e l’incolumità pubblica e che ha connotati eversivi antistatali. Lo dice Patronaggio, un’attenzione che le Procure stesse hanno mostrato. Dare una collocazione geografica alla criminalità è fondamentale. Questa è criminalità organizzata dunque non è una speculazione sull’individuo che ha fatto un omicidio o uno stupro ascrivendolo a una comunità, manipolando il crimine. Questa è criminalità strutturata che investe sul territorio, lo controlla e lo infetta. Non raccontare gli elementi strutturali, politici, culturali che legano un’organizzazione al proprio luogo significa non fare analisi. Ed è impensabile. Non è che qui si è parlato di una persona, come fa il populismo razzista. Non si tratta di un furto o un omicidio e quindi dire che il responsabile era un sardo o un padovano non fa la differenza. Tutt’altro, qui si tratta di articolazioni sul territorio, di comportamenti militari precisi. Questa risposta emotiva l’ho trovata una grande furbata per non affrontare ancora una volta il problema criminale in Sardegna che è gigantesco. Chi racconta queste cose è leale verso il territorio e racconta una criticità, se taci non la puoi risolvere e non la puoi affrontare».

La Sardegna è anche molto altro.

«È vero la Sardegna produce bellezze, ma ora che c’entra. Le parole non devono essere decontestualizzate. Il contesto è la legittimità del discorso. Se io sto parlando di crimine è ovvio che se sto dicendo la Sardegna produce criminali e non mafia, e qui faccio l’analisi sulle gerarchie, sto parlando di crimine. Se sto parlando della faida di Scampia e dico che a Napoli si produce un narco-crimine è ovvio che sto parlando di quello. La politica e lo squallore mediatico ha cercato invece il clickbaiting sulle mie dichiarazioni. Da un lato per puro click dall’altro per omertà. Una dinamica tipica quando non si vuole affrontare un tema. È molto interessante, invece, comprendere il rapporto tra il crimine continentale organizzato e Sardegna. La refrattarietà - è la parola che ho speso per i criminali sardi - nel strutturarsi in gerarchie mafiose. Un elemento importantissimo. La mafia non è un prodotto sardo. Esistono narcotrafficanti sardi, l’Isola è un hub del narcotraffico calabrese, napoletano ma non produce un’organizzazione sua mafiosa. Il criminale sardo non sottostà a un capo nel corso della sua vita. Non accetta le regole di un capo, la struttura gerarchica costante, ma episodicamente decide di riconoscere un leader, assoggettarsi a un vetrice per l’operatività singola. Ma non è possibile avere delle strutture mafiose durature. Questi sono gli elementi che ho condiviso nel video su YouTube ed è incredibile che si inneschi questo atteggiamento che è omertoso e camuffato da tutela del territorio».

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