Graziano Mesina torna, in videoconferenza dal carcere nuorese di Badu 'e Carros, davanti a un tribunale, questa volta nell'aula della Corte d'Appello di Sassari, in un processo che lo vede imputato per estorsione ed usura insieme all'ex direttore di una filiale del Banco di Sardegna, Pierluigi Meloni.

Ieri la procuratrice generale, Roberta Pischedda, ha chiesto alla Corte presieduta dal giudice Salvatore Marinaro, come riportato dalle agenzie di stampa, la conferma della sentenza di primo grado per entrambi gli imputati: sei anni e otto mesi di carcere per Mesina e cinque anni per Meloni.

La presunta vittima del prestito ritenuto "usurario" dall'accusa è l'imprenditore sassarese Marco Milia.

Milia, nel 2011, si era rivolto a Meloni per un prestito di 40mila euro, ma nella vicenda avrebbe fatto da intermediario lo stesso Graziano Mesina

Secondo gli inquirenti, Meloni, per ottenere la somma, si sarebbe rivolto all'ex primula rossa, il quale anziché 40mila euro ne avrebbe chiesti indietro 50mila. Secondo l'accusa, i due avrebbero minacciato Milia di accettare l'accordo e consegnare il denaro.

Le relazioni sassaresi dell'ex primula rossa erano state ricostruite attraverso migliaia di pagine relative ad un'altra inchiesta dai carabinieri del Comando provinciale di Nuoro.

Ieri le avvocatesse di Mesina, Maria Luisa Vernier e Beatrice Goddi, e Agostinangelo Marras che difende Meloni, hanno chiesto l'assoluzione degli imputati. Le due legali hanno ribadito quanto sostenuto da Mesina: "Mai concesso prestiti a strozzo, mai preso un soldo in più di quanto avevo dato".

Per Agostinangelo Marras "se il prestito c'è stato non sono state rivolte a Milia minacce perché lo restituisse. Non c'è una sola prova che dimostri che fosse di 50mila euro la somma restituita dall'imprenditore".

Il processo è stato aggiornato al 26 maggio per la sentenza.

(Unioneonline/v.l.)

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