Se tutti i progetti andranno in porto, tra terra e mare, la Sardegna sarà invasa da oltre 4.500 pale eoliche. Senza considerare i progetti fotovoltaici, che comprometteranno centomila ettari di terreni agricoli.

Al momento, con le cosiddette procedure di accelerazione, lo Stato può approvare progetti e imporli a Regione ed enti locali senza passare per la trafila burocratica che di solito attraversa un progetto molto meno impattante di una turbina alta 300 metri. Ed è qui che si incastona un ragionamento che i Comitati e gli attivisti portano avanti in tutta l’Isola ormai da anni: perché la Sardegna deve diventare la ciabatta elettrica d’Italia, sacrificando le sue enclave storico-naturalistiche? In cambio di cosa, poi?

Va premesso: per ora, al largo delle coste sarde, non c’è ancora neppure una turbina. E a terra c’è solo revamping. Il problema sarà quando, con la revisione del Decreto Fratin, saranno fissate le regole definitive su come sistemare le pale sempre che, nel frattempo, nell’Isola non sia stata approntata una legge di rango costituzionale per impedire un assalto che oggi appare senza ostacoli. Ma la realtà è un’altra: se tutte le pratiche dovessero andare avanti, l’Isola sarà circondata – turbina più, turbina meno – da 800 aerogeneratori alti anche più di trecento metri al largo delle sue spiagge da cartolina. Solo in Gallura ne spunterebbero 250. Considerate anche le nuove 2.500 pale on shore previste dai progetti, più le 1.200 che già ci sono, la previsione sarebbe di svariate migliaia: bene andando circa 4.500 turbine di terra e di mare. Una cifra spaventosa.

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