Quella partita a golf con AgnelliNanni Fodde e l'impero Acentro
«Di auto ne so poco, a Cagliari giro in Seicento, nei fine settimana me ne faccio prestare una per andare a Sassari». Niente male per il signor Fiat, più volte recordman italiano di vendita, con 10 mila macchine all'anno. Nanni Fodde è fatto così, quando è il momento di inserire le marce basse, per dare un po' di sprint, schiaccia il freno. di LUCIO SALISPer restare aggiornato entra nel nostro canale Whatsapp
Forse per pudore, lui saldo al vertice di un impero anche in tempo di crisi: Acentro automobili, Acentro immobiliare, Acentro ceramica, Acentro costruzioni, Acentro veicoli industriali. Quattrocentocinquanta dipendenti, 200 milioni il fatturato.
Nella vita si è occupato di tutto: olio, mattoni, immobili, sughero, carciofi, formaggio, trattori, ma il grande amore resta l'auto. La sua zona abbraccia mezza Sardegna: Cagliari, Oristano e parte della provincia di Nuoro. Lì vende il 70 per cento delle macchine in circolazione; il 50 per cento di quelle immatricolate in Sardegna. Non gli bastava: ha aggiunto Nissan e Opel. Ha tradito Torino? «Tutto regolare, l'esclusiva non usa più». Al grande venditore mamma Fiat ha sempre riservato un occhio di riguardo: «Nelle importanti riunioni di mercato ero sempre al tavolo di Gianni Agnelli». Ha frequentato Umberto: «Qualche volta ci ho giocato a golf. E ho vinto». Romiti: «Mi ha fregato una casa a Roma, in via Propaganda fide. Costava 300 milioni. Ho esitato. Lui ha rilanciato con 350 ed è finita». Montezemolo: «L'ho conosciuto quando ho preso la concessionaria Ferrari. Per un paio d'anni. Ma non conveniva. La gente comprava le Ferrari fuori, poi le nascondeva». Marchionne: «Ha ragione, la penso come lui, anche se io coi sindacati ho sempre avuto un ottimo rapporto. Pomigliano è nata con l'Alfasud, industria di Stato: un disastro. Ogni auto costava ai contribuenti un milione di lire. Ha introdotto la Nissan in Italia: i giapponesi costruivano le scocche poi si montava tutto a Napoli. Una follia. Subito dopo ha creato la rete di vendita nel nostro paese per la Renault, la cosa più difficile».
CUORE JUVENTINO Si possono ancora fabbricare macchine in Italia? «Si devono fare. Perché Fiat diventerà sempre più multinazionale e i gap di manodopera saranno superati dalla tecnologia».
Ha sangue Fiat nelle vene, tifa Juve. Ovvio. «No, sono juventino da piccolo, l'azienda non c'entra». Sportivissimo: «Ho praticato diverse discipline, ma come atleta non ero un granché. Meglio mio figlio». In compenso, ha fatto molto per lo sport: «Ho sponsorizzato il grande Brill dopo la caduta di Rovelli. Ma lui gli dava 300 milioni, io 50 il primo anno, 25 il secondo. Con la squadra ho sofferto moltissimo. Andavo in trasferta: quanti sputi ho preso a Caserta e Brescia». Non solo basket. «Ho portato a Cagliari la prima barca da regata. Nel 1951, uno Star del cantiere Bianchi e Cecchi. E credo di aver contribuito a diffondere il Golf in Sardegna».
Brillano gli occhi del signor Fodde «non sono laureato», mentre rievoca tempi lontani. Riflette ad alta voce. Senza spocchia. A 85 anni potrebbe permettersi qualcosa di più, invece si preoccupa di sopire: «La prego, non scriva che sono accentratore, potrebbero testimoniarlo anche i miei figli». Ammette invece «un cattivo carattere, la mia fortuna è che "poi" non resta niente nel cuore. Qualcuno però mi trova anche gioviale. Ho solo due grandi amici: Giuseppe Macciotta e Carlo Ignazio Fantola. So di poter contare su di loro».
LA CURIOSITÀ Si considera ottimista: «Nella vita ci vuole entusiasmo, ambizione. A volte mi dico che faccio molte cose, ma non le faccio bene, però mi annoio meno». La curiosità lo induce a interessarsi di tutto, senza remore figlie dell'opportunismo e della convenienza. E a esprimersi su tutto, anche se potrebbe costargli caro: «In politica mi attribuiscono una certa propensione a sinistra. Certo, ho avuto vent'anni, ma non ho mai fatto cose da sessantottino. Comunque sono sempre stato all'opposizione».
L'età matura emerge dai capelli bianchi. Fisico asciutto, sottolineato da pantaloni scuri, taglio sportivo, e da un girocollo blu su camicia a righine. Sale e scende per un dedalo di uffici, nella sede centrale di via dei Carroz: giù gli autosaloni, su gli impiegati. Entra ed esce dalle stanze salutando sempre per primo.
In quella luminosa struttura trasparente tutto sembra in esposizione. Invece, all'ultimo piano, dopo scale e scalette, c'è il rifugio che non ti aspetti: stanze foderate da quadri di Ausonio Tanda e Pietro Antonio Manca, affollate di antiche statue di legno. Un Costantino santo guerriero, madonne con bambino, angeli in volo, a volte sbreccati. Offesi dai tarli e dal tempo. Vagamente inquietanti in un'insospettabile penombra. Cascami di chiese sottratti all'onta dei rigattieri. Religioso? «Ci penso. Ho molti dubbi. Invidio chi ha una fede incrollabile. Da cattivo cristiano, un giorno mi deciderò alla confessione. Ma prima devo trovare una persona in cui avere molta fiducia». Un'ombra nello sguardo, un piccolo cedimento alla malinconia, prima che la conversazione riprenda scorrevole, sostenuta da una memoria di ferro.
ANNI VENTI Non nasconde origini modeste. «Mia madre era di Selargius, dodicesima dopo 11 figli maschi. Mio padre, Antonio Fodde Rosas, di Cuglieri, produceva olio di sansa. Negli anni Venti veniva a Cagliari in calesse. Nel '25 vi si è trasferito, per aprire in viale Trieste la Società olearia mineraria sarda. Aveva la quinta elementare, ma scriveva le lettere alternando corsivo e gotico. L'ho seguito da quando avevo otto anni. Gli devo tutto».
Nanni Fodde è cresciuto nella Cagliari anni Venti: «Sono nato in via San Giovanni, poi viale Trieste, palazzo Picchi, dove non c'erano neppure i bagni. Ho giocato in via Palabanda, piazza del Carmine. Ho frequentato le Elementari alla Satta, con la meravigliosa maestra Cabras e il Tecnico Martini, a Sant'Eulalia».
Struggente amarcord di una Cagliari piccola piccola «quando il Poetto era un luogo da sogno in cui si andava col tegame di melanzane. C'era il Lido, con spettacoli di lirica e operetta, i casotti, sa passillara con gli uomini che facevano lo struscio in pigiama a righe».
IL CAPPOTTO RIVOLTATO Soldi zero, «ho portato spesso le pezze nel sedere, mia madre rammendava le camicie consumate, ricostruiva. Il cappotto rivoltato era una norma, le mie giacche avevano sempre il taschino a destra».
Il salotto era in via Roma, al Caffé Torino sostava la borghesia, il Caffé Roma era più popolare. Via Manno, una strada elegantissima. C'erano Bonu, Lastretti, negozi di gran classe.
Era una Cagliari fascista quella in cui il piccolo Nanni ha fatto la trafila «prima marinaretto poi avanguardista. Mio padre invece, per evitare il sabato fascista se ne andava a Sassari, dove avevamo un frantoio, un calesse e un cavallo».
Durante la guerra la famiglia Fodde è sfollata a Sanluri, «ricordo quei viaggi da incubo col furgoncino, sempre a gonfiare gomme, a mettere pezzette». Il bombardamento del 13 maggio '43 sorprende Nanni e il padre nel rifugio di via Pola: «Quando siamo usciti, ho guardato verso viale Trieste: la ciminiera della nostra piccola fabbrica non c'era più».
IN DIVISA La guerra sfiora appena Nanni Fodde. Parte nell'aprile '45, Battaglione volontari universitari San Bartolomeo. «Unico universitario fra 10 mila sardi. Ho fatto solo il facchino per gli inglesi, di noi non si fidavano». A settembre era già a casa senza aver sparato un colpo.
Il dopoguerra è duro. Dopo una breve parentesi a Roma, per studiare e lavorare «ma mi sono anche divertito», il giovane Fodde è richiamato a Cagliari. «Chi ha avuto 20 anni nel '45 non può dimenticare: nei paesi si mangiava pane e cipolla, le ragazze sfiorivano presto. Sognavano di fare le domestiche a Cagliari».
Lui invece sogna di ricostruire: la città è l'immagine del disastro. Non ci sono piani né intoppi gravosi: la gente ha fame di case. Si dà da fare. Nel 1953 compra dalla famiglia Cardili, di Su loi, una fornace a Flumentepido. Era servita per costruire Carbonia, andrà bene anche per Cagliari. Fodde non sa niente di mattoni, ma ammette: «Era una Cayenna: l'argilla, dura, si scavava con le mine. Poi gli operai (250), con "su mucadore" in testa, spaccavano le pietre, per farle entrare nel frantoio. In agosto».
La cava di Acentro ceramica è rimasta in attività sino a 10 anni fa. Con quei mattoni Fodde ha costruito in via Sonnino, Einaudi, Cimarosa, in viale Fra' Ignazio: «E' stata la prima casa, nel'64, a raggiungere il costo di 100 mila lire a metro quadrato: "Stiamo impazzendo, si diceva, dove andremo a finire"».
Dal mattone alle macchine agricole, il primo passo nel '63. Nei locali di via Pola del cavalier Angius, detto Chicchirichì, c'era la concessionaria Ford del commedator Pulga, romano. Fodde la compra per 80 milioni. Mentre gli fanno le consegne, vede le auto: «Consult, Anglia, Taunus: bruttissime, ma c'era grande euforia per tutto ciò che veniva dall'estero. Ne abbiamo venduto anche 800 in 8 mesi. Con un'assistenza da fucilazione. Poi ho preso la Massey Ferguson».
IN VIALE TRIESTE Mollati i trattori, apre Automarket 58, in viale Trieste: ricambi più usato. Un successone. Segue un invito del dottor Savoia, ex ufficiale di Cavalleria, direttore della Fiat di viale Monastir, a entrare nella grande famiglia di Corso Marconi. Dalla porta di servizio. Il mercato sardo è già diviso. A Fodde propongono la Marmilla, con sede a Senorbì nord «cioè più lontano possibile da Cagliari». Lui accetta, investe 100 milioni. Entra in guerra con la concorrenza «facevano gioco pesante» e negli anni Settanta si vede offrire la concessionaria a Cagliari. Così nasce prima Autocentro, «con gli amici che mi prendevano in giro, sembrava un reparto militare», poi Acentro, in via dei Carroz.
Perché proprio lì? «Già nel '70 avevo visto dei disegni con l'asse mediano e lo svincolo di viale Ciusa. Ho aspettato». Ancora una volta, ha fatto centro.
A 85 anni non ha voglia di mollare. Anche se nell'azienda sono coinvolti i figli. Intorno, un panorama inquietante: «Il quadro è sconvolgente: Porto Torres, Ottana, Siniscola, Sulcis, Macchiareddu. Il deserto industriale. Per me sviluppo è il grano che cresce, un albero che diventerà matita». Oltre 60 anni in giro per la Sardegna a cercare buoni affari gli hanno fruttato una certa esperienza, ma poca speranza: «L'agricoltura è in ginocchio, la pastorizia non ha futuro: siamo ancora al pecorino romano, che nessuno vuole».
Sono i frutti dell'assistenzialismo elevato a politica, della mancanza di una leadership capace di dire la verità a chi si affolla ogni giorno davanti ai palazzi del potere. I sardi vivono da sempre questa situazione, pronti a seguire il pifferaio magico di turno. Fodde è d'accordo, «l'assistenzialismo è figlio della ricerca del consenso», con in più un riferimento al faro della sua vita: «Mio padre diceva sempre che un imprenditore, quando finisce, deve portare i libri in tribunale. Se del caso, andare dentro, ma prima metta le mani nelle tasche, le rivolti e lasci a disposizione dell'azienda tutto quello che ha».
Ma quando finirà questa crisi?
«Sarà lunga e quando finirà, nulla sarà più come prima».