Una giovane donna, incinta all’ottavo mese e tossicodipendente, potrebbe dare alla luce suo figlio dietro le sbarre del carcere di Uta.

Una scena che non dovrebbe appartenere a un Paese civile e che, invece, rischia di diventare realtà.

A lanciare l’allarme è Irene Testa, garante delle persone private della libertà personale della Sardegna, che parla di «urgenza assoluta» e di una situazione «indegna e inaccettabile». 

La ragazza, poco più che ventenne, si trova in una condizione di forte vulnerabilità: la gravidanza è a rischio e, secondo le parole della garante, il pericolo di un parto prematuro è concreto.

Qualche giorno fa è stata portata in ospedale, ma poi pare abbia firmato le dimissioni e così è stata riaccompagnata in carcere.

«Gli spazi del carcere non sono assolutamente idonei a un evento di questo tipo», denuncia Testa, che chiede un intervento immediato delle istituzioni e la possibilità di inserire la donna in una comunità idonea. 

Il problema, tuttavia, è anche strutturale. «L’unico Icam regionale (Istituto a custodia attenuata per madri detenute) presente in Sardegna non è mai stato reso operativo, lasciando senza alternative concrete le donne in situazioni simili. Faccio appello – ha proseguito Testa – perché si possa individuare con urgenza una comunità o una struttura che possa accogliere questa ragazza con il suo nascituro».

Il caso riaccende i riflettori sulle condizioni delle donne detenute e, in particolare, su quelle incinte o con figli piccoli. In tutta Italia, le strutture dedicate sono poche e spesso inadeguate, con la conseguenza che il diritto alla maternità rischia di essere sacrificato dietro le sbarre.

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