Arrivava da un altro paese, aveva vent'anni, era un bel ragazzo. Carattere, forte, deciso. «Ma anche strafottente». Lei era più piccola di tre anni. Si erano fidanzati. E poi sposati. Trent'anni di dolori.

A Maracalagonis tutti sanno come si chiama, che lavoro fa, quanti figli ha ma nei grandi occhi verdi si legge il terrore. E allora, d'accordo: «Il nome no». Anche se il marito è in prigione dal 4 aprile, da quando cioè ha cercato di ucciderla a bastonate.

Nello studio dell'avvocata Annamaria Busia, a Cagliari, trova una forza nuova. Ha lasciato l'ospedale tre giorni fa, il braccio destro appeso al collo: la frattura richiede altri quindici giorni di gesso. «Ci siamo sposati dopo dieci anni di fidanzamento». Tanti, senza mai capire. «Voleva comandare ma le mani no, non le aveva mai "alzate"». Si era dedicata al marito, alla casa, ai figli. «Non c'è un momento in cui è cambiato ma uno in cui si è rivelato, ed è stato quando io ho cominciato a cambiare». Lei non sopportava «restrizioni sempre più pesanti»: se accompagnava i bambini a scuola o al catechismo o fare sport e si intratteneva con un'amica lui andava su tutte le furie. «Io al lavoro e tu lì a divertirti, mi diceva. Per evitare scenate delegavo le altre mamme».

La paura

Non aveva mai pensato di andare via. «Non avevo niente, allora cercavo di spiegargli che così non andava bene». Bastava nulla per fargli cambiare umore. «Non vali niente, mi ripeteva». Violenza psicologica. «Volevo salvare il salvabile, senza lavoro né casa cosa potevo fare?, se fossi stata sola forse sarei andata via, non lo so». Poi aveva cominciato a metterle le mani addosso. E ora ripercorrere quei momenti è un dolore troppo grande: «Ci sono tante cose...». Un crescendo. Fino a quando l'ha buttata per terra. «Ho pensato che fosse la fine. Mi ha sempre minacciato di morte ma erano parole... quel giorno invece ho pensato potesse farlo davvero». Aveva trovato la forza di rialzarsi ed era scappata, si era rifugiata dai genitori, i bambini erano rimasti a casa: che paura al pensiero di quanto era stato manesco anche con loro. «Mi hanno portato al pronto soccorso, sono uscita e volevo prendere i miei figli». Invece. «Non mi aveva fatto entrare, diceva che non ero padrona di niente, ero un'ospite in quella casa, l'aveva costruita lui, era sua». Allora i bambini scappavano di nascosto per andarle incontro e vederla, abbracciarla, parlarle. Intanto si era data da fare: «Ho cercato un lavoretto». Lo aveva trovato perché a Maracalagonis tutti sapevano e l'hanno aiutata.

La fuga

Dopo due settimane lui si era stancato dei bambini: «Mi ha intimato di portarli via». Si era rimboccata ancora una volta le maniche, aveva cercato un alloggio e continuato a fare tutti i lavori che le capitavano. Però: «Vivevo nel terrore, lui continuava con le minacce al telefono». Temeva di essere denunciato: «Diceva che avrebbe fatto di tutto a me e alla mia famiglia». Lei voleva andare dai carabinieri: «Ma la paura era più forte, era incensurato, non lo avrebbero arrestato e sarebbe stato più arrabbiato di prima». Non versava un centesimo per il mantenimento. Eppure dopo un po' voleva che la moglie tornasse. «Alle sue condizioni però». Cioè: qui comando io.

Non è tornata. E ha avviato la pratica per la separazione. «Non chiedevo nulla né per me né per i bambini. E lui ha detto no: decido io, tu fai quello che dico io». Invece ha fatto quello che ha detto lei e due giorni dopo la notifica del ricorso per la separazione è successo: «Temevo quel momento. Avevo portato i bambini a scuola alle 8, mi ha seguito, ha tamponato la mia macchina più volte, sono finita in cunetta. Ho pensato: ecco, lo sta facendo. Mi sono lanciata fuori e sono scappata chiedendo aiuto». Lui aveva un grosso bastone e la colpiva alla testa, sulla schiena. Ti ammazzo. «Ho visto una mamma con due bambini entrare alla scuola materna e ho pensato lì no, e allora ho corso, non sapevo dove rifugiarmi, il supermercato era aperto, sono entrata, una commessa ha tentato di chiudere la porta ma è stato inutile». La colpiva, la minacciava. Un'altra commessa si è messa in mezzo, ha preso colpi. «Non so come sono uscita da lì né come sono arrivata dal macellaio che gli ha detto di calmarsi ma lui niente». Si è fermato solo davanti al coltellaccio della carne. «Mi ha puntato il bastone come a dire: ti aspetto, non finisce qui».

Le manette

Sono arrivati carabinieri e polizia. Lo hanno arrestato e per la moglie è iniziata una nuova vita. Terrore puro. «I miei figli sanno tutto, non posso nascondere fatti così gravi, devono prendere coscienza del pericolo». Insomma: ha paura che esca dal carcere e mantenga la promessa. «È terribile non sapere che cosa può succedere». Ha paura per i figli, i genitori, le sorelle, le amiche. «Io darei la mia vita se questo servisse a salvare i miei cari, io l'ho capito che vuole farmi piangere. Lui sa che cosa mi fa male, per questo temo possa mirare alle persone che amo. Ecco, è questo che mi sta distruggendo: vedere la paura sul volto di chi amo».

Il dolore

Gli occhi sono gonfi di lacrime, la voce è rotta ma si trattiene. E continua il racconto. Quante volte l'ha perdonato e ci ha riprovato. «Mi diceva, senza di me sei una fallita, ma io gli ho voluto bene e lui non lo ha capito: tutte le volte che non sono andata dai carabinieri era per amore. È difficile staccarsi dall'uomo con cui si è vissuto trent'anni, il padre dei propri figli. Sentivo di essere sbagliata, mi davo la colpa. Forse sarei dovuta essere più forte e farmi rispettare». Ogni parola fa sanguinare le ferite del cuore, ogni ricordo bagna lo sguardo: «Nonostante tutto non avrei voluto vederlo in carcere, però ha fatto tutto lui, da solo. Quello che mi dà fastidio è che non aveva motivo per farmi questo».

Il tono della voce è basso, afferra il braccio rotto e sposta la fascia che lo sorregge. Anche il più piccolo gesto svela una dramma indicibile. «Non è facile riprendere a vivere, il dolore è grande, vedo paura e vergogna per quello che è successo». Anche se ha incontrato tante persone buone: «Vorrei dire grazie a tutti i miei meravigliosi compaesani per la solidarietà e il coraggio, alle infermiere del Santissima Trinità per il sostegno, alle ricoverate per le benedizioni».

Un sorriso illumina il bel volto rotondo, ed è la prima volta da quando ha iniziato a parlare. Ma è un attimo. «Prima o poi uscirà dal carcere». Ed è qui che diventa chiaro come le parole non servano. Questa donna di 46 anni, e come lei tutte quelle che vivono lo stesso dramma, deve essere tutelata. Rassicurata. Difesa. Salvata.

Maria Francesca Chiappe
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