Si sono arresi, per adesso. I belati francesi e israeliani non risuoneranno negli ovili del Gennargentu e del Campidano, dell’Anglona e del Barigadu. Assalto respinto, sino al prossimo. Gli industriali, dopo ore di estenuante confronto, sono costretti ad uno stop inatteso. La modifica del disciplinare per la produzione del “Pecorino Romano Dop” non s’ha da fare. Tutto rinviato al 12 gennaio prossimo. Tregua di Natale, ma la guerra cova sotto la neve della Barbagia. Il rinvio non è, infatti, una rinuncia definitiva a quelle “pecore di Troia” che lo stato maggiore degli industriali lattiero-caseari della Sardegna vorrebbe introdurre nel sistema produttivo dell’Isola.

La trappola

Una vera e propria “trappola” per dirla con le parole di Gianuario Falchi, uno dei leader della “rivolta del latte” del 2019. Il rinvio è un successo del No rispetto a quelle “catastrofiche” modifiche, ma è, nel contempo, la conferma che quel grimaldello delle pecore francesi e israeliane in terra sarda è una vera e propria spada di Damocle sul comparto più importante dell’Isola. Non si spiega diversamente il braccio di ferro tra industriali e pastori per quell’apparente e modesto 10% di latte prodotto da pecore straniere che si vorrebbe legittimare con la modifica del disciplinare di produzione del Pecorino Romano Dop. Sia i pastori che gli industriali sanno, ognuno dal proprio punto di osservazione, quanto sia nevralgico e nel contempo rischioso, aprire un varco nel sistema produttivo del formaggio a denominazione di origine protetta.

Non si fidano

Le ragioni di quel dieci per cento, 20/30 milioni di litri di latte, secondo i pastori, sono il viatico per aprire una condotta del latte con allevamenti intensivi, dislocati un po’ in Sardegna e, forse, un po’ no. In realtà i pastori non si fidano di quelle cisterne che fanno su e giù dal Continente verso l’Isola. Percepiscono, e in alcuni casi lo denunciano espressamente, il rischio che da allevamenti lontani mille miglia dalla Sardegna il latte varchi il Tirreno, finendo per approvvigionare alcuni caseifici isolani. A quel punto quel 10% di latte “geneticamente” autorizzato, qualora passasse la modifica, finirebbe per essere, appunto, un vero e proprio Cavallo (pecore) di Troia, in grado di aprire un vero e proprio varco “straniero” e “intensivo” nella produzione del Pecorino Romano. Chi controllerà quel dieci per cento? Chi avrà l’autorità di monitorare la produzione di 300 milioni di litri di latte prodotti in oltre 10.000 allevamenti sparsi in ogni anfratto dell’Isola? Nessuno. La catena produttiva è da sempre incontrollabile e ogni tentativo di garantire tracciabilità è naufragato, sia sul piano organizzativo che istituzionale. Ne hanno ben donde, dunque, i pastori a temere l’apertura di un “portone” che rischia di invertire il processo produttivo, da estensivo a intensivo, da pascolo a stalla. Il rischio è sostanziale e strutturale.

Prezzo a rischio

Da una parte l’inserimento di quel dieci per cento rischierebbe di far ripartire la sovrapproduzione di latte, con un nuovo crollo del prezzo del latte ovino, dall’altra costituirebbe un tentativo maldestro di cambiare lo scenario stesso della Sardegna. Sarebbe un’Isola senza pecore, proprio perché l’introduzione delle specie israeliane e francesi finirebbe per rinchiudere le greggi nelle stalle, abbandonando il pascolo e la produzione estensiva favorendo quella meramente quantitativa ed intensiva. Addio, di fatto, alle qualità organolettiche delle produzioni estensive, garantite dalla razza della “pecora sarda” e dai pascoli sardi variegati e forgiati dalle caratteristiche climatiche e vegetali dell’Isola. Si passerebbe da una produzione identitaria ed esclusiva, ad una industriale, con una sorta di pecora da batteria, un po’ pollaio, un po’ catena di montaggio. Tutto questo finirebbe per aggredire la tanto agognata qualità del Pecorino Romano riconosciuta a livello mondiale e premiata per la sua peculiarità produttiva fortemente identitaria. In realtà i pastori, oltre che degli industriali, non si fidano del sistema dei controlli, inesistente sotto ogni punto di vista.

Fuori mercato

Il rischio è che si metta fuori mercato, per costi e quantità, il sistema agropastorale dell’Isola. Aver tenuto in piedi quella ipotesi di modifica, nonostante la fortissima opposizione dei pastori sardi, dimostra che il sistema industriale attribuisce a quel 10% di pecore “straniere” un’importanza “strategica” che va ben oltre quella percentuale apparentemente limitata. Tutto questo proprio nel momento in cui le norme comunitarie stanno introducendo un rigore maggiore sul piano della tracciabilità della materia prima.

Diritto alla tracciabilità

Del resto il consumatore ha sempre più diritto, e lo esige, di conoscere la provenienza non solo territoriale, ma anche “genetica” del prodotto che consuma. Tutto questo, ovviamente e fortunatamente, mette in discussione ogni possibile contraffazione, facilmente rintracciabile proprio attraverso i codici genetici del latte prima e del formaggio dopo. Se c’è il divieto assoluto ad utilizzare pecore “straniere” le sanzioni sarebbero automatiche per chiunque ne facesse uso, sarebbe impossibile, invece, anche per l’assoluta mancanza di controlli, verificare e sanzionare che quel 10% non sia diventato, invece, 20-30% o molto di più. Un passpartout rischiosissimo per l’intero comparto che ha fatto della qualità del prodotto il suo punto di forza. Non si spiegano diversamente i dati che registrano un clamoroso risultato del Pecorino Romano che negli ultimi tre anni ha di fatto raddoppiato le sue quotazioni. E’ la Camera di Commercio di Milano a registrare i valori della piazza più importante.

Il raddoppio

A gennaio del 2019, nel pieno della grande lotta dei pastori sardi, il Pecorino Romano era quotato a 5,53 euro al chilogrammo, ieri la borsa del formaggio segnava un 9,85 euro al kg, ovvero quasi il doppio del prezzo di tre anni fa. Un risultato ottenuto non solo grazie alle mobilitazioni clamorose, che hanno certamente fatto scattare l’interesse mondiale sul prodotto, ma, anche, per le caratteristiche organolettiche esclusive del Pecorino Romano, in grado di consolidare i mercati tradizionali e traguardarne di nuovi.

Boom economico

Un boom economico che non intacca, anzi, rafforza anche i quantitativi dell’annata casearia, con un più 9,9% di produzione rispetto all’anno passato. Ad oggi, con dati ancora provvisori, sono state prodotte 28.968 tonnellate di Pecorino Romano, a fronte delle 26.367 dello stesso periodo dello scorso anno.

Parmigiano & Pecorino

Un altro dato che lascia comprendere il momento d’oro del formaggio tipico delle produzioni lattiero casearie della Sardegna è il confronto con il colosso del Parmigiano Reggiano. Ieri, nella piazza milanese, si è registrato un testa a testa di grande rilevanza, con il Parmigiano attestato sui 10,20 euro a Kg e il Pecorino Romano a 9.85 euro a Kg.

Più forte nel mondo

Un quadro economico a gonfie vele che ha fatto registrare dati da primato anche per l’export a livello mondiale. I mercati extra Ue di Pecorino Romano e Fiore Sardo hanno segnato un più 16,1% di tonnellate esportate tra gennaio e agosto del 2021, rispetto allo stesso periodo del 2020. La bilancia commerciale segna un guadagno di 121 milioni e 740 mila euro, corrispondente a un più 27,2% rispetto allo scorso anno. Tutti dati relativi alle esportazioni mondiali, Stati Uniti primi tra tutti. Un gradimento che, però, si registra anche nell’ambito europeo con guadagni che segnano un più 10,40% rispetto al 2020.

Primato europeo

Anche in Europa il risultato economico è rilevante con un guadagno di 36 milioni di euro. Con una quotazione che ha sfondato il muro dei 10,36 euro a kg, un primato che scavalca la stessa quotazione del Parmigiano Reggiano. Elementi da analizzare per comprendere le ragioni di questa perfomance del Pecorino Romano, prodotto per il 97% in Sardegna, e quali potenzialità ancora potrà esprimere nella competizione internazionale. Di certo la qualità del prodotto e la peculiarità identitaria costituiscono, anche sul piano del marketing, oltre che su quello organolettico, un punto di forza irrinunciabile sul quale la scommessa non può segnare battute d’arresto o passi falsi.

Resa dei conti

Lo scontro ora si sposta al 2022. Il 12 gennaio ci sarà la resa dei conti. L’obiettivo dei pastori è bloccare in ogni modo quel grimaldello delle pecore “straniere”, vere e proprie “infiltrate”, che rischiano di attentare l’intero sistema agro-pastorale della Sardegna. Blindare il prodotto con la sola pecora di «razza sarda», in questo quadro economico e di mercato, è un obbligo. Il rischio, altrimenti, è quello di stravolgere la Sardegna: niente più pecore al pascolo, ma chiuse in stalla. E il Pecorino Romano un formaggio qualsiasi.

Mauro Pili

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