La Regione boccia il nuovo disciplinare per il pecorino romano Dop, approvato lo scorso dicembre tra le polemiche. Ed è scontro con il Consorzio di tutela. 

La Giunta ha espresso «un indirizzo contrario», si legge in una nota di viale Trento. La decisione «arriva a causa del mancato inserimento dell’elenco delle razze ovine autoctone tradizionali ammesse per la produzione del latte destinato alla trasformazione in Pecorino Romano Dop». Un’omissione che, secondo l’esecutivo, «non risulta in linea con le politiche regionali per il comparto e a tutela dei sistemi di allevamento tradizionali, della sostenibilità ambientale dei sistemi zootecnici e della conservazione della biodiversità».

Una presa di posizione che sembra una risposta all’appello lanciato dai pastori senza bandiere che, subito dopo l’approvazione delle modifiche al disciplinare, avevano chiesto l’intervento della presidente Alessandra Todde che, dicevano,  «ha il potere di veto su quanto il presidente del consorzio sta illegittimamente portando avanti: è in gioco il futuro del settore più strategico dell’economia regionale».

Ma qual è il problema? Un chiarimento è necessario: si chiama “romano" ma è quasi del tutto sardo. Ed è il pecorino che viene esportato in tutto il mondo, quello che per la gran parte determina il prezzo del latte nell’Isola. È un prodotto Dop (Denominazione di origine protetta) e la sua produzione deve avvenire nel rispetto di determinati requisiti: quelli previsti nel disciplinare. Sul quale si era votato già qualche anno fa, quando era stata imposta la necessità che le pecore da mungere appartenessero a determinate razze “autoctone”.

Con la nuova votazione del 2 dicembre scorso, a Macomer, la “razza” era stata tenuta fuori e per produrre pecorino romano diventava sufficiente che le pecore fossero allevate in determinati “areali”. La Sardegna è inclusa, ovviamente. La preoccupazione dei pastori firmatari del documento è una: qualcuno (molti?) potrebbe “importare” pecore da altri territori, farle vivere in Sardegna, allevarle in modo intensivo per aumentare la produzione del latte – approfittando del fatto che ora il prezzo è alto – e ciò che si perderebbe, è il timore, sarebbero proprio le caratteristiche del prodotto. Oltre al valore aggiunto, con conseguente crollo del prezzo a causa dell’aumento della produzione.

I pastori (Gianuario Falchi, Nenneddu Sanna, Mario Carai e Fabio Pisu) avevano avvertito che «rivotare il punto che riguardava l’utilizzo di latte per produrre il formaggio pecorino romano Dop proveniente da pecore appartenenti alle razze autoctone degli areali di produzione (Sardegna, Lazio e provincia di Grossetto) sarebbe stato contro le regole, in quanto quel punto era già stato votato e approvato in una precedente assemblea del consorzio con una maggioranza del 90% ed era stato avvallato dall’allora assessore all’Agricoltura prima e dal ministero poi». Da Roma avevano «addirittura suggerito uno scivolo di 7 anni, dietro consigli dei tecnici Agris, per dare il tempo alle aziende che oggi allevano razze esogene o loro incroci, nel caso in cui volessero continuare a far parte della Dop, prima che le restrizioni fossero messe in atto». 

Il Consorzio aveva deciso di tirare dritto: ora che è arrivata la bocciatura della Regione, non ci sta e replica con una durissima nota del presidente Gianni Maoddi, che si dice «sorpreso» dalla decisione. 

«Sarebbe bastato leggere il disciplinare di produzione in vigore e la proposta di modifica per rendersi facilmente conto che nella parte relativa alle razze tutto è rimasto invariato. Le razze autoctone nel disciplinare sono di fatto già comprese in quanto solo il latte delle pecore allevate nelle zone di produzione può essere utilizzato per la nostra DOP. In secondo luogo, l’assessore Satta in questi mesi non ha mai cercato un confronto con il Consorzio, almeno non con il Consorzio nella sua interezza: crediamo che sarebbe stato molto utile prima di esprimere un simile parere, che ricordo è solo un parere e non è vincolante».

Maoddi ricorda che le modifiche vanno approvate dai due terzi dell’assemblea e che lo scorso dicembre «il 70% dell’assemblea dei soci ha votato per lasciare il disciplinare invariato nella parte relativa alle razze, che in qualsiasi momento può essere modificata, ma sempre con il via libera dei due terzi dell’assemblea». Insomma, conclude Maoddi, la Regione si è espressa «sulle modifiche che la minoranza dell’assemblea avrebbe voluto», ma che non sono state apportate.

La bocciatura del disciplinare viene invece accolta con favore da Agrinsieme Sardegna: «Non possiamo che commentare positivamente la delibera approvata oggi dalla Giunta regionale: nell’aggiornamento non è previsto il riconoscimento delle razze ovine autoctone nella produzione di questo formaggio di eccellenza», spiega il coordinatore,  Daniele Caddeo, che prosegue: «Il parere espresso dall’esecutivo va infatti di pari passo con la battaglia portata avanti da Agrinsieme Sardegna in questi ultimi mesi, in ambito regionale e nazionale anche con interlocuzioni con il Ministero dell’Agricoltura, per la valorizzazione delle razze locali e del loro forte radicamento con i territori dove operano migliaia di allevatori. Il messaggio giunto oggi da Cagliari rappresenta una scelta di campo politica forte e chiara di cui tutti i portatori di interesse coinvolti nel comparto dovranno tener conto». 

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