«I pastori traditi dai padroni del latte»: è già qui, nel titolo, il senso del documento diffuso pochi giorni dopo il voto dei soci del consorzio del pecorino romano che ha tenuto fuori dal disciplinare per la produzione l’obbligo di utilizzo di pecore di razza sarda (e altre razze, ben definite, che già sono autorizzate in Lazio e Toscana) e l’esclusione, di conseguenza, di quelle francesi e israeliane.  Una partita cruciale per le campagne della Sardegna, che viene illustrata – con critiche durissime – nella nota che porta la firma dei pastori senza bandiere Gianuario Falchi, Nenneddu Sanna, Mario Carai e Fabio Pisu, tra i protagonisti della rivolta del latte del 2019.

Un chiarimento è necessario: si chiama “romano" ma è quasi del tutto sardo. Ed è il pecorino che viene esportato in tutto il mondo, quello che per la gran parte determina il prezzo del latte nell’Isola. È un prodotto Dop (Denominazione di origine protetta) e la sua produzione deve avvenire nel rispetto di determinati requisiti: quelli previsti nel disciplinare. Sul quale si era votato già qualche anno fa, quando era stata imposta la necessità che le pecore da mungere appartenessero a determinate razze “autoctone”. Con la nuova votazione del 2 dicembre, a Macomer, la “razza” è stata tenuta fuori e per produrre pecorino romano è sufficiente che le pecore siano allevate in determinati “areali”. La Sardegna è inclusa, ovviamente. La preoccupazione dei pastori firmatari del documento è una: qualcuno (molti?) potrebbe “importare” pecore da altri territori, farle vivere in Sardegna, allevarle in modo intensivo per aumentare la produzione del latte – approfittando del fatto che ora il prezzo è alto – e ciò che si perderebbe, è il timore,  sarebbero proprio le caratteristiche del prodotto. Oltre al valore aggiunto, con conseguente crollo del prezzo a causa dell’aumento della produzione.

I "signori del latte”, secondo la nota dei pastori,  non avrebbero voluto sottoporsi «a quelle regole che un disciplinare di produzione serio avrebbe loro imposto». Nel documento si inveisce contro «l’avidità degli industriali che già era emersa nelle estenuanti trattative che abbiamo dovuto affrontare durante la protesta del latte del 2019», ma si manifesta stupore per «l’ingenuità di alcuni presidenti di cooperative, che sotto chissà quali pressioni si sono fatti convincere a prendere una posizione che può essere solo figlia dell’ignoranza». 

«Avevamo preannunciato», si legge, «che rivotare il punto che riguardava l’utilizzo di latte per produrre il formaggio pecorino romano Dop proveniente da pecore appartenenti alle razze autoctone degli areali di produzione (Sardegna, Lazio e provincia di Grossetto) sarebbe stato contro le regole, in quanto quel punto era già stato votato e approvato in una precedente assemblea del consorzio con una maggioranza del 90% ed era stato avvallato dall’allora assessore all’Agricoltura della regione Sardegna prima e dal ministero poi». da Roma avevano «addirittura suggerito uno scivolo di 7 anni, dietro consigli dei tecnici Agris, per dare il tempo alle aziende che oggi allevano razze esogene o loro incroci, nel caso in cui volessero continuare a far parte della Dop, prima che le restrizioni fossero messe in atto». 

«Abbiamo capito bene», prosegue il documento, «che il prezzo del formaggio stabilizzatosi a questi livelli non rende felici coloro che commercializzano il formaggio e quindi sono disposti a mettere in gioco la credibilità della Dop del Pecorino Romano, puntando sulla quantità che si otterrebbe con gli allevamenti intensivi, fregandosene altamente di mandare allo sfascio quanto di buono hanno costruito i nostri antenati». 

I pastori senza bandiere lanciano due appelli. Il primo ai colleghi che conferiscono il latte alle cooperative, affinché «tengano a bada i presidenti o loro delegati, che  in assemblea devono riportare la volontà che è stata espressa nelle votazioni tenutesi nelle singole cooperative, cosi come è avvenuto nel 2021:  in quell’occasione, la successiva votazione del consorzio aveva fatto sì che la versione delle razze autoctone raggiungesse la maggioranza del 90%». 

Il secondo appello è per la presidente della Regione, Alessandra Todde: «Ha il potere di veto su quanto il presidente del consorzio sta illegittimamente», sostengono, «portando avanti: è in gioco il futuro del settore più strategico dell’economia regionale».

Enrico Fresu 

  

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