Si sono riversati stamattina sulla statale 131, nell’Oristanese, e hanno dato vita a tre cortei. In marcia circa 250 veicoli, tra trattori e auto, mentre una domanda serpeggia tra gli allevatori e agricoltori sardi presenti: «Su chi andranno a pesare i dazi imposti da Trump?». Un interrogativo che, come spiega Gianuario Falchi, uno dei leader della protesta, insieme a Nenneddu Pala, dei cosiddetti "pastori senza bandiere", non ha bisogno di molte parole per essere compreso: «Lo sappiamo già». Il settore agroalimentare, infatti, è quello più colpito dalle decisioni prese negli Stati Uniti, e la Sardegna risulta essere la regione italiana che più di tutte dipende dalle esportazioni verso il mercato americano, soprattutto per il Pecorino romano, il prodotto simbolo dell'isola, ricavato dal latte di pecora.

Per tutta la mattina traffico a rilento sulla principale arteria viaria che collega il sud e il nord Sardegna, ma nessun blocco: i manifestanti sono stati autorizzati ad occupare una sola corsia di marcia, consentendo a tutti gli altri mezzi di circolare su quella lasciata libera. La colonna di trattori e auto di allevatori e agricoltori provenienti da tutta l'Isola, ha percorso la statale Carlo Felice per poi confluire nella zona industriale di Terralba, dove si è chiusa la protesta. Il malcontento della categoria è in crescita per il mancato arrivo dei premi comunitari e nazionali, attesi da mesi, una situazione che sta mettendo in ginocchio migliaia di aziende sarde. Nel mirino la Regione e l'organismo pagatore Argea.

«Tutti - spiega Gianuario Falchi - stavamo aspettando il famoso decreto che ha annunciato l'assessore regionale Gianfranco Satta entro marzo, quello da 45 milioni, invece è ne arrivato uno da 12 milioni. Qui stanno dando i numeri e confondendo soltanto la gente. Come se non bastasse il resto - denuncia ancora l'allevatore - c'è stata la sorpresina di Argea che sta mandando pec a tutte le aziende dicendo che ci sono anomalie e imprecisioni nelle pratiche per i pagamenti: Satta ci aveva garantito che era tutto risolto, invece siamo a punto e a capo». La protesta non si ferma: «Siamo pronti ad occupare gli aeroporti finché non avremo risposte dalla Regione - annuncia Falchi - Per noi è una questione vitale, tanto quanto lo fu la battaglia per il giusto prezzo del latte». 

(Unioneonline/v.f.)

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