Stoccolma, 10 dicembre 1927. È gelo imponente nella capitale svedese. La voce minuta, flebile e commossa di Grazia Deledda irrompe nell'Olimpo dei Nobel della letteratura. Parole umili, intime come l'emozione del suo discorso davanti ai sovrani di Svezia. È silenzio ancestrale in quella sala regale per ascoltare l'ispirazione profonda di quella donna di Sardegna. Non parla la Deledda, dipinge. E spiega il respiro della sua terra: «Ho mille e mille volte poggiato la testa ai tronchi degli alberi, alle pietre, alle rocce per ascoltare la voce delle foglie, ciò che dicevano gli uccelli, ciò che raccontava l'acqua corrente».

A Mont'e Prama, invece, terra di grano, bagnata dall'acqua dolce e salata, nel proscenio incantato del Sinis, nessuno ha mai ascoltato le pietre, nessuno ha mai poggiato l'orecchio su quella terra intrisa di storia e identità. Ci sono dovuti passare i trattori, gli aratri profondi, alla ricerca di semine feconde e copiose per ascoltare, occasionalmente, lo stridere ruggente del vomero sulla pietra antica. In quell'eremo misterioso e segreto tutto è stato casuale. Un susseguirsi di fortuite scoperte e di felici intuizioni. Bagliori improvvisi e fulminei nel buio profondo di quella terra disseminata di tesori. E, poi, per 35 lunghissimi anni, il silenzio. Impercettibile e sconfinato. Sino a quando due uomini, opposti nel carattere e nell'approccio, uno emozionale e l'altro scientifico, separati dall'antica disfida tra le Università di Cagliari e Sassari, non hanno deciso di posare l'orecchio della scienza su quella collina di Mont'e Prama.

L'archeologo e il geofisico

È luglio inoltrato nell'anno dei Giganti 2013. Sole a picco, umidità minima, condizioni atmosferiche perfette. Nell'arena della storia giunge la macchina del tempo, quella che ascolta le rocce, che scruta le pietre, che inonda di impercettibili onde elettromagnetiche le profondità più disparate. Momo Zucca, l'archeologo, e Gaetano Ranieri, il geofisico, sono amici. Hanno girato il mondo a scoprire tesori nascosti ed ora sono lì a due passi dagli antenati più lontani. Hanno vinto nel silenzio, senza farsi sentire da nessuno, un modesto finanziamento regionale con una missione sconosciuta ai più: applicazione sul sito di Mont'e Prama di tecniche innovative di ricerca archeologica.

Non pronunciano mai la parola, ma loro sanno di cosa si tratta. Gaetano Ranieri, burbero e rigoroso, affabile con chi vuole e irruente con i nemici della ricerca, è uomo di miniera. Ingegnere delle pietre e della terra. Sino a quando non si inventa la geofisica. Incrocia le sue competenze, le innova e le sperimenta. Non si mette limiti e non si affida mai alla divina provvidenza. Semmai la prende per mano. A Mont'e Prama prima di loro c'erano stati tutti i patriarchi dell'archeologia sarda, da Giovanni Lilliu a Giovanni Ugas, da Alessandro Bedini a Carlo Tronchetti. Al professor Lilliu, il Sardus Pater, la soprintendenza nel lontano 1977 aveva concesso 24 ore di scavi, giusto il tempo di recuperare quello visibile a occhio nudo. Non andò meglio agli altri archeologi, sempre tempi e soldi contati.

La ricerca ne paga le conseguenze, in termini di scoperte e soprattutto di visione dell'insieme. Anche i grandi archeologi dinanzi a quei ritrovamenti parziali e occasionali hanno lo spettro di analisi limitato. Era fin troppo chiaro che si trattava di una scoperta unica e straordinaria, mai frammenti di statue di quelle dimensioni erano venute alla luce in terra di Sardegna. Ipotesi e scenari si rincorrono. Dall'insediamento funerario al santuario, dall'olimpo dei guerrieri sardi alla profanazione fenicio cartaginese. Niente, però, poteva avere certezza senza risposte puntuali alle domande che incessantemente da quel lontano 1974 martellano la testa della storia sarda.

Domande alle quali l'équipe delle Università di Cagliari e di Sassari vogliono dare risposte inappellabili. Che cosa rappresentano le statue di Mont'e Prama, quei betili intarsiati con fori squadrati, quei modelli di nuraghe antesignani del rendering moderno? Qual è la reale estensione della necropoli e quali i suoi confini? Dove sono finite le altre statue e dove si posano i templi della storia sarda?

Il connubio tra Gaetano Ranieri e Momo Zucca è come quello di un radiologo con il chirurgo. Senza il primo il secondo deve "aprire" ovunque e addio laparoscopia. Se tra i due c'è sintonia l'operazione è chirurgica, si interviene con precisione millimetrica. Il geofisico è un "cercatore di anomalie", l'archeologo ne è l'interprete.

La tac della collina dei Giganti

Quando salgono su quella vecchia jeep con al seguito quel marchingegno infernale non sanno cosa aspettarsi. Un attrezzo mutuato dalla fantascientifica macchina del sottosuolo che Ranieri aveva scovato negli studios del regista Steven Allan Spielberg. Era rimasto affascinato da tanta virtualità che lo portava a scorrazzare nel sottosuolo più profondo e segreto come se passeggiasse nelle viscere della terra. Quel suggerimento della fantasia cinematografica lo volle applicare alla geofisica e all'archeologia.

Per scorrazzare nelle profondità delle colline di Mont'e Prama agganciano alle quattro ruote, poi diventeranno quelle di un moderno quad, un insieme di antenne in grado di rilanciare nel sottosuolo, alle intensità pianificate e diversificate, le onde elettromagnetiche che restituiranno in tempo reale ogni possibile anomalia del sottosuolo, ovvero pezzi di pietra che per forma e posizione non appartengono al contesto del territorio.

Non hanno molto tempo e soprattutto hanno pochi soldi. Devono ottimizzare tutto: velocità di acquisizione dei dati, precisione nel posizionamento delle cosiddette "anomalie", elevata risoluzione sia verticale che orizzontale dei possibili reperti. Tutto questo con una profondità d'indagine sino a 2 metri. La macchina procede tra i 5/10 km all'ora, per ascoltare il silenzioso battito della terra. La Tac del terreno è millimetrica. E il report che pubblichiamo è la restituzione della precisione tra individuazione delle anomalie e la scoperta archeologica. Quelle "anomalie" diventano betili o busti di statue. I grafici della risonanza segnano in modo chiaro le lastre in arenaria per la copertura tombale. E poi ci sono gli avvallamenti nel sottosuolo, possibili nuovi cumuli di frammenti di statue o strade nuragiche.

Piero Angela, che di storia se ne intende, si è lasciato scappare che Mont'e Prama potrebbe essere la più grande scoperta archeologica nel Mediterraneo occidentale negli ultimi cinquant'anni. E se avesse letto quelle carte segrete del georadar ne avrebbe avuto la conferma.

Il tesoro nascosto

Quelle onde elettromagnetiche hanno scoperto di tutto e di più. Lì sotto non solo ci sono i Giganti e la loro fantastica civiltà ma la riscrittura della storia del Mediterraneo. La sfida tecnologica per la riscoperta della storia dei Sardi antichi, però, non si ferma alle anomalie. Vuole osare, sempre di più. In meno di 26 ore dalla radiografia del georadar Momo Zucca e la sua équipe aprono un fronte di scavi sconosciuto, segnalato da vistosi pallini rossi nel tracciato della tomografia di Mont'e Prama. Il riscontro è un colpo al cuore. Da sotto terra riemerge un Gigante adagiato nella sua maestosità, come si fosse addormentato in attesa del georadar. Gli archeologi ci lavorano con una perizia da chirurghi, con cazzuole e pennelli, con tute bianche e rilievi scientifici. La squadra affiatata e illuminata delle Università di Cagliari e Sassari riporta alla luce il gigante più imponente. Carlo Tronchetti, archeologo esperto, il primo a compiere nel 1979 uno scavo di qualche mese, ora rivela: «Ci sono andato vicino, mi sono sbagliato di un metro. Se allora avessimo avuto il georadar tutto sarebbe cambiato».

Una necropoli immensa

Il report finale della macchina che scova le anomalie sottoterra scolpisce sull'arenaria le conclusioni: l'area della necropoli è certamente molto più vasta estendendosi ben oltre il terreno della proprietà della Curia arcivescovile di Oristano. I risultati dello scavo nei settori 79 e 89, selezionati sulla base dei dati del georadar, hanno accertato la prosecuzione verso sud della necropoli. Le cazzuole degli archeologi hanno messo in evidenza la precisa corrispondenza tra l'ubicazione e la profondità delle anomalie e i rinvenimenti archeologici. Come dire l'orecchio delle antenne sulla terra di Mont'e Prama non ha sbagliato un colpo.

Da almeno 5 anni l'uomo che scruta il sottosuolo e l'archeologo che lo interpreta chiedono con voce decisa e autorevole di acquisire quella collina. Si sono sperticati a far capire che il giacimento archeologico è immenso. Nessuno li ha ascoltati. Ministri di stato e adepti vari sono venuti a prendere flash e selfie ma poi sono andati via. Sono arrivate le coop rosse a sgranocchiare soldi e incarichi, emarginando prima ed escludendo poi le Università sarde. E in quei terreni carichi di storia la soprintendenza, come se niente fosse, ha autorizzato la piantumazione di un mega vigneto. Ma questo è un altro capitolo della longa manus dello Stato sull'antica civiltà dei Sardi.

Mauro Pili

(giornalista)

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