Entrate in punta di piedi nel primordiale Pantheon del Sinis, la terra dei Giganti. Traguardate in silenzio l'orizzonte di queste colline tra mare e stagni, culla del più grande segreto dell'Isola di Sardegna. Qui, volenti o nolenti, alla soglia di Mont'e Prama, si è riscritta la storia dei sardi. E non solo. L'incedere di una civiltà che si pensava dimessa e marginale, trasformata, invece, da prove e ritrovamenti straordinari, in fulgida epopea di primati e di avanguardia. Dalle carte di Miami che mettono nero su bianco la datazione del radiocarbonio della grande civiltà dei Giganti alle illuminate intuizioni del Sardus Pater.

Le vestigia sulla collina

In questa collina, prima di grano e ora violentata da vigneti impunemente piantumati sopra le vestigia antiche, abbandonata a se stessa dall'incuria e dalla negligenza, giace l'alveo di quella che può essere considerata, dall'alto dei suoi 2870 anni di storia, la prima tra le grandi civiltà del Mediterraneo.

È, quella dei Giganti di Mont'e Prama, la storia controversa di un ritrovamento senza precedenti che potrebbe riscrivere pagine intere della storia del Mediterraneo, teorie e dati di fatto che ribaltano i soloni delle certezze inattaccabili, scontri titanici, dalle guerre devastatrici che hanno frantumato quell'immenso patrimonio alle grigie giornate degli uffici ministeriali intenti ad affossare con offensive elemosine e plateali ostacoli la rinascita di quelle colline seminate di storia e mistero. Dalla furia devastatrice della "damnatio memoriae", fenicia o cartaginese, che condannò con rara violenza alla morte l'olimpo dei Sardi, agli intrighi di palazzo dei giorni nostri, alla lotta di potere per tenere sotto chiave e in ombra la più affascinante delle storie dell'illuminata civiltà nuragica.

Quante ne hanno sopportate e ancora dovranno sopportarne quei potenti e coraggiosi guerrieri elevati al rango più alto della civiltà sarda e ora nel limbo del dimenticatoio. Dalla furia criminale di chi nella storia ne ha divelto foggia e pietra sino ad arrivare alla cacciata delle Università di Sardegna, da Sassari a Cagliari.

Coop rosse e società calabresi

La riscoperta vietata agli studiosi sardi, con la calata prima delle cooperative rosse dall'Emilia Romagna, nel 2016, ed ora delle società calabresi che vincono nel silenzio assoluto del lockdown l'ennesima gara per qualche metro cubo di terra da spostare in quell'eremo esclusivo perennemente sopito tra Mari Ermi e Tharros. Una nuova gara d'appalto che ha affidato alla società calabrese Mariano Mirabelli srl di Castiglione Cosentino i nuovi scavi nella terra di Mont'e Prama, nella culla della civiltà sarda. Affidamento silenzioso come si conviene allo Stato, con le Università sarde ancora una volta fatte fuori da studi e scavi.

Quella che si sta consumando sui Giganti di Mont'e Prama è una faida antica. Se avessero ritrovato sulle colline di Roma o nella grigia pianura padana, a Pompei o sulle rive dell'Arno, quel giacimento di reperti che ha rivisto solo in minima parte la luce nel Sinis, si sarebbero mobilitati fiumi di quattrini, tra elargizioni statali e private. Non in Sardegna, non a Mont'e Prama, qui solo inutili elemosine. Fiammate d'interesse, poi il silenzio che cala come il degrado e l'abbandono del sito.

Il contadino e il Sardus Pater

È marzo inoltrato del 1974 quando un contadino di Cabras, Sisinnio Poddi, aggancia al suo aratro quella che non è una comune pietra del Sinis. A dicembre arrivano nel sito segreto un giovanissimo Giovanni Ugas, docente universitario e Alessandro Bedini, ispettore della soprintendenza. In uno scavo minuto trovano di tutto. Tombe a pozzetto, lastre di arenarie ma pochi frammenti di statue. Il rapporto di Bedini sparisce e restano solo le fotografie di quegli scavi. Lo scontro tra soprintendenza e università è agli albori. A guidare il docet statale è Ferruccio Barreca. Sul fronte opposto, quello universitario, c'è Giovanni Lilliu, il Sardus Pater della civiltà nuragica. I due non si amano e non se lo mandano a dire. Lo scontro su Mont'e Prama è titanico.

Giovanni Lilliu non parlava, sussurrava. Minuto e gentile, schietto e risoluto. I suoi passi lenti e decisi, come la prima impronta di un'astronauta sulla luna. Armstrong aveva messo il primo piede sul suolo lunare nel lontano 1969, il Sardus Pater aveva iniziato a solcare il suolo nuragico della Sardegna già agli inizi degli anni '50, quando, con rara perizia e lungimiranza, portò alla luce quel monumento divenuto Patrimonio dell'Umanità nel cuore di Barumini. I suoi occhietti, nascosti dietro quegli occhiali giganti, non battono ciglio. Sono fari che sprizzano emozioni quando arriva alle pendici di Mont'e Prama. È il 4 gennaio 1977. Diluvia. Si guarda intorno. Sa interpretare il Creato nuragico come nessun altro. Intravede tra i solchi delle arature e i riverberi dell'acqua pietre anomale per il Sinis. È estasiato con il rigore che gli è proprio. Lo sguardo è illuminato come se nella sua mente avesse già affrescato il disegno dell'architetto/illustratore Panaiotis Kruklidis. Vinse le remore del contatto telefonico e chiamò Barreca per farsi autorizzare ad uno scavo immediato per anticipare tombaroli e ladruncoli di storia.

I primi scavi e il tesoro svelato

L'8 gennaio è sul posto. Campagna di scavo di un giorno. Gli bastò per intercettare un pugilatore e un'altra testa. Fu sufficiente per rendersi conto che si trattava di una discarica di statue fatte a pezzi. Statue giganti, mai viste prima in Sardegna.

È il primo novembre del 1977 quando entra in scena un giovane studente universitario, allievo di Lilliu e di Barreca. Tra l'incudine e il martello. Da bambino non giocava a pallone ma faceva già l'archeologo. Raimondo Zucca, Momo per l'universo archeologico, è prossimo alla laurea. Passa per caso davanti a Mont'e Prama e scorge il tesoro. Tronchi di statue ricamati nella pietra come se la tessitura fosse quella dei telai di Samugheo, arcieri con trecce incise da un bisturi primordiale, placca pettorale incorniciata. Chiama l'ispettore della soprintendenza e la guardia di finanza che mettono al sicuro il nuovo giacimento. Sarà la molla per far scattare la prima campagna di scavi. L'Università del professor Lilliu viene tagliata fuori ma nella squadra degli archeologi chiamano proprio Momo Zucca, l'allievo del Sardus Pater. Da luglio sino a ottobre del 1979. È qui che c'è la svolta di Mont'e Prama. Si comincia a configurare la magnificenza di quel ritrovamento che finirà per collocare la Sardegna nella vetta delle civiltà mediterranee. Ci sono le statue e le tombe. Sotto quei lastroni forgiati nella pietra di S'Archittu e Santa Caterina di Pittinurri ci sono i resti dei guerrieri, dei pugili, degli arcieri e degli inermi. E ogni statua ricalcava la storia dei defunti.

Sino allo tsunami violento della condanna della memoria. L'inquisizione archeologica mette nel banco degli imputati Fenici e Cartaginesi. L'accusa è devastazione violenta, forsennata. Un genocidio identitario. I primi, i Fenici, con un'aggravante e una prova in più dei secondi, per l'utilizzo di un betile di Mont'e Prama in una tomba fenicia ad Othaca, a Santa Giusta. Quasi un'impronta digitale sulla scena del delitto di massa.

L'imponenza di quell'universo sardo è ancora tutta nel cuore di quella collina. Da scavare e studiare. Con un dato, però, che emerge su tutti, capace di ribaltare la storia del Mediterraneo. Il connubio brillante tra le Università di Cagliari e di Sassari aveva consentito di mettere a punto un piano straordinario di rinascita. Il Ministero dei beni culturali li fermò. Prima di lasciare, però, Gaetano Ranieri, geofisico a capo dell'équipe dell'Università di Cagliari e Momo Zucca dell'Università di Sassari, decisero di giocare la carta di Miami. Nel cuore della Florida c'è un laboratorio, il Beta Analytic, considerato il più avanzato al mondo per la Datazione al radiocarbonio. Tecniche moderne per stabilire con un minimo errore la "genetica" e la datazione del reperto. Il risultato è racchiuso in quel report che pubblichiamo.

Tremila anni di storia

Il responso è messo nero su bianco: le prime statue giganti realizzate nel Mediterraneo hanno visto la luce a Mont'e Prama 2870 anni fa. Statue tutte "sarde" con quasi tremila anni di storia, seguite dagli etruschi con 2720, la grande civiltà greca con 2710 e le statue iberiche con 2650. Il Sardus Pater, Giovanni Lilliu, non amava esaltarsi ma nel suo testamento spiegò: la Sardegna in quell'epoca aveva espresso una statuaria già matura quando in Grecia erano appena agli albori. Da qui - scrisse Lilliu - si capisce il valore rilevante della produzione sarda nei movimenti culturali e nella storia dell'antica civiltà mediterranea. Una civiltà nuragica che ai tempi di Mont'e Prama - conclude il Sardus Pater -, non è subordinata né integrabile, non ammette egemonie esterne. Appare, invece, competitiva ed espansiva, autonoma ed autodeterminata». Poi, però, a Mont 'e Prama sono arrivate le coop rosse e adesso le società calabresi. Gli allievi del grande maestro saranno costretti a stare alla finestra. Ma questa è un'altra storia.

Mauro Pili

(giornalista)

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