Colpita da emorragia cerebrale. La chiamata al 118 è partita alle 13. Solo alle 16 l’ingresso in ospedale, in coma. Intanto: l’elicottero di Areus non si è alzato in volo, durante il tragitto verso Cagliari c’è stato un trasferimento da un’ambulanza all’altra. «Non sappiamo, nessuno lo sa, se la tempestività dei soccorsi avrebbe cambiato destino e quadro clinico di mamma, sono certa, però, che tre ore per arrivare all'ospedale da qualsiasi parte della Sardegna siano troppe». 

È lungo e dettagliato il racconto di Caterina Deidda, di Laconi, che racconta le peripezie vissute dalla madre Carmela Zaccheddu a partire dal 14 gennaio scorso, quando per un malore improvviso è finita a terra nella sua casa del paese del Sarcidano. Lo fa adesso che la madre non c’è più. Perché dopo il tempo  «della cura, del dolore e, alla fine, dei saluti, ora è il tempo delle domande, della chiarezza e del rammarico».

Il caso è già all’attenzione del consiglio regionale: è stata presentata un’interrogazione per capire perché l’elisoccorso non si sia alzato in volo, nonostante la gravità della situazione.

L’anziana donna, 84 anni, è stata colpita da un’emorragia.  «Mamma è stata caricata su una ambulanza di base con la guardia medica a bordo che è partita da Laconi senza avere una destinazione precisa ed è stata trasbordata nei pressi di Nureci in una autoambulanza medicalizzata proveniente da Ales.  Solo alle 15 è stata comunicata come destinazione il Brotzu», racconta Deidda, che aggiunge: «Il mezzo ha dovuto fare alcune soste perché la paziente è stata male e, probabilmente, all’interno del mezzo non c’era lo spazio sufficiente per intervenire senza fermarsi. Ritardando ancor di più l’arrivo al pronto soccorso». 

In ospedale, tre ore dopo, la donna è stata operata d’urgenza. «Mi chiedo e chiedo», prosegue adesso la figlia, «se il diritto alla salute, stante episodi come questi, sia veramente un diritto universale in tutte le parti della Sardegna. O se la tempestività degli interventi e la sicurezza sia legata al luogo in cui si nasce e si sceglie di restare a vivere». 

Dopo l’intervento, l’anziana è rimasta per 20 giorni in Rianimazione «dove è stata accudita con tutte le attenzioni immaginabili e possibili e noi parenti presi in carico con grande empatia». 

Poi però è arrivato il trasferimento in Neurochirurgia: «Anche nei sistemi e nelle organizzazioni che non funzionano benissimo la differenza la fanno le persone», spiega Deidda, «ma se queste perdono umanità empatia e capacità di vedere ascoltare e accogliere le persone fragili hanno sbagliato lavoro e producono danni e dolori.  Questo lo vorrei segnalare soprattutto a quegli e quelle operatrici/ori che hanno lasciato mia madre tre giorni con la stessa camicia da notte, a quei medici che di fronte ad un “le posso parlare?” hanno risposto no e girato le spalle». 

La donna di Laconi sottolinea che «in questo mese di penitenza mi sono chiesta moltissime volte come possono farcela le persone che non hanno reti, competenze e supporti. Come?»

Enrico Fresu 

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