Microcitemico di Cagliari, 5 maggio 1983, aveva solo tre mesi di vita: nel suo braccio un ago collegato a una sacca di sangue. Fu la prima trasfusione di una lunga serie.

Federica Aru da pochi mesi ha festeggiato 40 anni e oggi, 8 maggio, Giornata mondiale della Talassemia, racconta la sua vita tra letti di ospedale ma anche serate spensierate nonostante l'anemia cronica. Nata a  Cabras, in casa, a ridosso dello stagno: “I miei genitori già dopo il primo mese dalla nascita si accorsero che qualcosa non andava - racconta Federica Aru - Mi portarono in ospedale e dopo le prime analisi arrivò la diagnosi: Talassemia. Loro non conoscevano questa malattia. I medici dissero subito che non sarei riuscita a vivere più di dieci anni. Invece ci sono ancora, grazie alle terapie innovative, alla sperimentazione e ai miei genitori che non si sono mai arresi”.

Da quel momento in poi per Federica Aru è stato un continuo viavai tra Cabras e il Microcitemico di Cagliari, la sua seconda casa, la sua famiglia fino ai 26 anni: “Ero lì due volte al mese per ricevere il mio carburante - racconta - Ho conosciuto tantissime persone. Poi, per evitare il viaggio, 14 anni fa decisi di continuare le trasfusioni al San Martino di Oristano”. Federica Aru, che ama i tatuaggi, tant’è che ha lasciato “in bianco” solo la parte del braccio dove viene punta per la trasfusione, ha sempre accettato la malattia con il sorriso: “Ora non riuscurei a immaginarmi senza Talassemia. Ero serena anche quando vivevo con un piccolo apparecchio che ripuliva il sangue dal ferro in eccesso per evitare di compremettere gli organi. Ho sempre fatto una vita normale tra serate con gli amici, concerti, viaggi e tanto altro. Certo, due giorni prima della trasfusione non mi reggo in piedi. Ma poi dopo che ricevo quel prezioso liquido rosso sto molto meglio”. Federica Aru, che nelle corsie dell’ospedale tempo fa ha trovato anche l’amore, racconta qualche aneddoto, sorridendo: “In tanti mi hanno sempre chiesto se fossi contagiosa. Questo per la poca conoscenza della malattia. Ora rispetto a 40 anni fa però è tutto diverso. La ricerca ha fatto passi da gigante. C’è più prevenzione, con questa patologia nascono sempre meno bambini”.

Impossibile non ricordare l’importanza della donazione del sangue e la carenza che c’è soprattutto in estate: “Senza la generosità dei donatori io non starei raccontando la mia vita. Forse nelle scuole però ci dovrebbe essere più informazione e sensibilizzazione sull’argomento. In estate ad esempio in tanti partono per le vacanze, ma noi abbiamo sempre bisogno di sangue. Non deve donare solo chi conosce il problema o chi ha un parente in casa che soffre di questa patologia. Ma tutti quelli che possono”. 

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