Roberto Porcheri indossa un giubbotto con la scritta "driver life". E la vita del camionista, si sa, non è certo una vacanza. Ma oltre ai disagi affrontati in 33 anni di viaggi tra la Sardegna e il resto d'Europa, il camionista nuorese non aveva certo messo in conto di passare 4 giorni imprigionato in cabina. Lontano dalla famiglia, senza scorte di acqua e cibo, per di più con l'angoscia di essere finito nella trappola del Covid. Da venerdì aspettava l'esito del tampone molecolare fatto a Olbia quasi 12 ore dopo lo sbarco, perché il test rapido eseguito in porto all'alba aveva fatto scattare l'allarme. Il classico falso positivo, che con gli antigenici si ripete di frequente. Ma per Roberto Porcheri, che in una settimana ha girato le strade di mezza Italia, il test imposto dalla Regione a chiunque sbarchi in Sardegna si è trasformato in un incubo. La peggiore sorpresa pasquale, che se non altro si è conclusa con un sorriso: «Almeno ho scoperto che non mi sono beccato il virus».

La disavventura

Definire questa storia un'odissea diventa fin troppo facile. Il caso però ha risvolti economici non secondari, soprattutto per i tanti autotrasportatori che ogni settimana fanno la spola tra le due sponde del Tirreno. «Ho rischiato di perdere tutta la merce, 150 quintali di frutta e verdura, per un valore di quasi 60 mila euro - racconta il camionista nuorese - Per fortuna la mia azienda ha trovato un autista che mi ha raggiunto e ha portato a destinazione il mio rimorchio col carico. Un piccolo trasportatore avrebbe perso tutto, come è successo a un giovane romano che aveva a bordo centinaia di agnelli. Io ovviamente non sono il primo che finisce nel pasticcio del falso positivo: un collega ha passato 5 giorni bloccato in porto mentre un altro è finito nell'hotel Covid di Santa Maria Coghinas».

I giorni senza notizie

Il primo imprevisto, Roberto Porcheri lo deve affrontare poco dopo l'ormeggio del traghetto partito giovedì notte da Livorno, al check-point della Assl. Il tampone rapido è già diventato routine per uno che fa il viavai in nave 3 tre volte alla settimana. «Come sempre mi hanno detto di restare nei dintorni in attesa di conoscere l'esito e io ho approfittato per scaricare una parte della merce in un centro di smistamento che si trova vicino al porto. Per ore non ho saputo nulla, ma sono rimasto ancora a Olbia. Alle 13 ho trovato un sms: "Il suo tampone è positivo, si presenti per effettuare un tampone molecolare". Sono corso in porto, ma non c'era più nessuno. Ho chiamato al numero dal quale era arrivato il messaggino e mi è stato detto di andare in aeroporto, dove però non era possibile effettuare il test senza prenotazione. A quel punto ho dovuto attendere l'arrivo delle navi della sera: sono tornato in porto per la terza volta e ho fatto l'altro tampone».

L'appello

Nel frattempo, per il camionista di Nuoro l'ordine della Assl è stato perentorio: «Fino a quando non arriva l'esito del secondo test non può avere contatti con nessuno. E così sono stato costretto a rimanere chiuso in camion, sperando che tutto si risolvesse massino in 24 ore. E invece ho dovuto resistere 4 giorni». La mail che pone fino all'incubo arriva lunedì, a metà mattina, quando Porcheri è sulla 131: all'altezza di Siniscola, direzione casa. «Noi camionisti siamo d'accordo con i controlli ma alla Regione chiediamo che ci venga fatto subito il test più affidabile o che ci venga imposto solo quando finisce il turno e facciamo la pausa di 45 ore, non quando si barca per poche ore per scaricare e poi ripartire. Rischiamo di perdere carichi da migliaia di euro per un errore».

Nicola Pinna (inviato)
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