Amin Al Haj, il 38enne originario dell'Arabia saudita arrestato dai Nocs a Macomer, non lavorava, viveva dei sussidi riconosciuti alla moglie, stava tutto il giorno a casa, davanti al computer.

Qui, davanti allo schermo, progettava di avvelenare una condotta idrica della Sardegna, probabilmente sotto Natale, festa simbolo del cristianesimo.

Che fosse nel mirino degli inquirenti lo sapeva, perché a fine settembre aveva subito una perquisizione nella casa di Macomer dove viveva da anni, ma non immaginava di essere filmato dalle telecamere e pedinato 24 ore al giorno. Da due mesi i controlli attorno a lui si erano fatti più fitti.

Gli agenti sapevano tutto sul suo operato, anche il fatto che la moglie non fosse d'accordo con i suoi progetti: la donna, si sentiva nelle microspie, gridava che per colpa sua avrebbero avuto guai. Lui rispondeva che non voleva intromissioni, specie femminili, "fatti gli affari tuoi".

Dall'alba fino a notte fonda vagava su siti internet italiani, arabi e romeni alla ricerca di veleni.

Come il Lannate 90, un prodotto per l'agricoltura che si vende solo a chi ha il patentino e con una percentuale di sostanza non superiore al 25 per cento. Amin lo cercava al 90. Sì, perché il cugino, Muhammad Assan, gli aveva comunicato le nuove indicazioni di Al Baghdadi, il capo dell'Isis: non più bombe, Khalasnikov né camion, ma veleno. "È più economico e non lascia martiri".

Gli agenti però sono arrivati prima che potesse mettere in atto il suo piano.
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