Scomodiamo gli eroi di Pratobello. E chiamiamo in causa generazioni di politici (sardi). A fine maggio 1969 affissero sui muri di Orgosolo un avviso di sfratto per i pastori. Lasciate i pascoli di Pratobello, spostate altrove il vostro bestiame: quelle terre servono allo Stato italiano.

Altro filo spinato in faccia ai sardi. Donne, bambini, uomini, giovani, anziani.

Una marea umana marciò verso Pratobello, sfidando altri italiani e sardi con indosso una divisa, mandati lì da Roma a difendere l’indifendibile. Nessuno alzò un dito: vinsero gli italiani e i sardi senza uniforme. Lo Stato aveva già detto sì al Piano di Rinascita della Sardegna. Tanto petrolchimico per uscire dalla monocultura della pecora. Tanto carbone (da molti anni russo) da bruciare nelle nostre centrali. Tante bombe da sperimentare nei nostri (nostri?) poligoni. Poi i mulini a vento, i pannelli nella terra del sole. Il metano? No, per noi no, e sappiamo – lo scriviamo da anni – per colpa di chi. Poi (andiamo veloci) venne il Covid e la politica ha trovato il buco buono per infilarsi sotto la sabbia. Tollerando in silenzio chi, alle nostre spalle, progettava l’assalto delle energie rinnovabili, per mare e per terra, in una Sardegna che aveva già dato sul fronte triste delle servitù. Persino un altro elettrodotto (il Tyrrhenian link) per portar via, novelli predoni, tutto il “green” che altri italiani non vogliono produrre. Poi è arrivato un nuovo piano di rinascita (di resilienza, sic!) e poi è arrivata la guerra. E l’assalto alla Sardegna viene mascherato come manna divina. Metano, idrogeno? No, per noi no. A Orgosolo, dopo Pratobello, sono arrivati i murales. Nella matita di Antine Nivola (Orani, 1911-Esat Hampton NY,1988) l’amarezza di un sardo che la Sardegna l’ha dovuta lasciare. Cercateli, sul web, quei murales e quei quadri. Magari troviamo un po’ dell’orgoglio di Pratobello per dire basta.

Emanuele Dessì

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