Tre sardi su cento sono immigrati, provengono soprattutto dalla Romania, e in misura decisamente minore da Senegal e Marocco, sono costantemente in aumento e di solito si stabiliscono nell'Isola prendendo, in molti casi, la cittadinanza italiana.

Aumentano i bambini, i richiedenti asilo o protezione internazionale, crescono di sette volte rispetto al 2011 gli stranieri che diventano italiani a 18 anni, calano coloro che arrivano per motivi di lavoro.

È l'Istat a fornire una fotografia del fenomeno migratorio italiano e di quello sardo.

Un quadro dal quale emergono differenze territoriali.

Se a livello nazionale i Paesi più rappresentati sono Marocco, Albania, Cina, Ucraina e Filippine, nell'Isola quasi trenta immigrati su cento sono romeni, poco meno di 9 sono senegalesi o marocchini, quasi sette sono cinesi, seguiti dai filippini e via elencando.

L'APPRODO NEL SASSARESE - Dei 50.346 immigrati con regolare permesso di soggiorno che risiedono stabilmente in Sardegna (qui non si parla dei 5500 migranti ospiti dei centri di accoglienza), 21.739 (il 43,2%) hanno scelto di stabilirsi nell'attuale provincia di Sassari, soprattutto in Gallura, mentre Cagliari ospita meno di trenta stranieri su cento (14.242), solo dieci su cento si insediano nel Nuorese, nell'Oristanese si contano 3.140 stranieri (il 6,2%) mentre nella provincia sud Sardegna risiedono 5.841 immigrati (l'11,6%).

L'INTEGRAZIONE - Come si integrano?

Trattandosi in prevalenza di persone che provengono da paesi economicamente più arretrati, hanno bisogno di imparare la lingua, i costumi, le leggi fondamentali, un mestiere.

"Se prima venivano spontaneamente perché avevano fretta di integrarsi, oggi non è così. L'integrazione viene imposta dalle istituzioni e così spesso quando arrivano da noi non seguono le lezioni, chiacchierano, disturbano", racconta Eugenia Maxia, presidente dell'associazione Alfabeto del mondo, 400 stranieri assistiti.

In dieci anni ha visto cambiare tutto.

"Sino a tre-quattro anni fa venivano da noi dieci minori in un anno, oggi sono cento".

Non a caso tra i corsi che organizzano sono aumentati quelli per le mamme con figli: "Imparano l'italiano, i fondamenti di informatica mentre i bambini vengono accuditi o, se sono in età scolare, vengono supportati per potersi inserire".

In dieci anni sono aumentate anche le nazionalità: "Avevamo persone di 40 nazionalità diverse, oggi sono 63".

IL FENOMENO - Del resto l'integrazione è un fenomeno complesso e va governato come tale.

Secondo Aide Esu, docente di Sociologia al dipartimento di Scienze sociali e delle Istituzioni dell'Università di Cagliari, c'è molto da fare.

"Nella nostra regione assistiamo a contrapposizioni sociali accentuate da una condizione economica critica, con una disoccupazione e una povertà più diffuse di quanto si percepisca. Per questo occorre governare meglio il fenomeno dell'immigrazione, ad iniziare da una comunicazione con i cittadini da parte delle istituzioni mirata anch a rassicurarli. Oggi, invece, la governance è fragile, disorganizzata. Insomma, stiamo affrontando un cambiamento epocale ma la nostra società non è ancora pronta. Ormai viviamo in una società aperta e giocoforza dobbiamo confrontarci", aggiunge.

"CULTURE DINAMICHE" - "Le culture non sono più blocchi statici ma dinamici che garantiscono un arricchimento. A proposito di comunicazione, dovremmo spiegare meglio che molte delle popolazioni che oggi vengono da noi sono quelle a cui abbiamo sottratto risorse nell'era dell'industrializzazione. Governare il fenomeno", conclude Aide Esu, "significa anche formare adeguatamente i nostri studenti perché imparino a gestire situazioni nuove. Un medico, ad esempio, deve sapere che il corpo di un musulmano va trattato in modo diverso, un mediatore culturale deve sapere che se una donna non guarda l'interlocutore negli occhi lo fa per rispetto e non per la mancanza di esso".

Fabio Manca

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