I filari di eucalipto e cipressi fiaccano lo sguardo, tanto sono infiniti. Il fusto quasi secolare di ogni pianta “straniera” si erge impetuoso sullo skyline del grande monte. Le avevano impiantate con certosina perizia quando la riforma agraria era agli albori. L’obiettivo era meteorologico, alleggerire l’incedere del vento sulle colture agricole dell’immensa piana ai piedi dell’Oasi del Cervo, tra Assemini e Uta, nel cuore di Monte Arcosu. I terreni sono uno scacchiere disegnato con il tacheometro di precisione, rettangoli perfetti, non meno di venti, trenta ettari per ciascuno. Dovevano essere aziende agricole modello, per far decollare l’economia del territorio. Non hanno fatto in tempo a spendere i soldi, pubblici, per allestire questi quadranti agricoli che la smania ingorda dell’industria a tutti i costi ha requisito tutto, comprese le aziende già insediate. Tutto ricomprato, sempre con altri soldi pubblici.

Giravolta para-industriale

Investimenti, li chiamavano. L’obiettivo era quello di utilizzare quelle aree agricole per insediare nuove attività industriali. I teorici di allora, para-economisti della ciminiera, sostenevano che occorresse massimizzare l’investimento pubblico, incrementando l’occupazione e lo sviluppo economico, attraverso l’industria. Secondo le tesi degli anni ’70, l’agricoltura e la pastorizia non avrebbero dato quello che poteva dare l’industria. “Sequestrarono” tutto a colpi di “bigliettoni” pubblici, pur di portare sotto l’egida dell’allora Consorzio industriale di Cagliari, ora Cacip, quelle migliaia di ettari agricoli da trasformare con una matita in aree industriali. Attraversare quelle Avenue e Street tracciate dalle fasce frangivento, tra Macchiareddu e la Pedemontana, è come entrare in un’apocalisse solo annunciata, dove tutto è rimasto intatto, dove tutti, però, sono scappati, lasciando cancelli arrugginiti ancora chiusi, senza nessuna recinzione che proteggesse il podere. Eppure, sempre la mano pubblica, anzi la tasca dei cittadini, proprio qui sta rimettendo mano alla regolazione idraulica del territorio, come se si preparasse per un grande evento. I canali di guardia, a ridosso di Riu S’isca de Arcosu, il corso d’acqua che si inietta dalla montagna direttamente sulla pianura, sono cinturati d’arancione, come se il cantiere di manutenzione avesse ripreso vigore proprio adesso.

Nè industria, nè agricoltura

In realtà, in questa terra sedotta e abbandonata, devastata dall’incuria e dall’insipienza umana, non stanno arrivando né nuove colture agrarie, tantomeno attività produttive. Da settimane in questa landa desolata e volutamente senza futuro, quasi che l’intento fosse quello di lasciare spazio a speculatori d’ogni genere, si sbanca ovunque. Ruspe pesanti, motor grader capaci di trasformare quelle terre in campi da biliardo, con una missione tanto “solare” quanto oscura. Nel silenzio morboso della pubblica amministrazione, Regione in testa, si negano progetti e valutazioni ambientali con procedure pubbliche vietate dalla vergognosa e permanente giustificazione del “Ci scusiamo per eventuali temporanei disservizi nel download dei file di seguito elencati. Stiamo lavorando per migliorare il servizio”. Per scoprire quello che sta accadendo proprio a ridosso dell’Oasi del Cervo non resta che entrare nel labirinto di quelle terre promesse, nel mondo finanziario dei paradisi fiscali, nelle segrete stanze dei notai d’oltre Tirreno. Quando ti sei lasciato alle spalle un’azienda agricola dalle dimensioni ciclopiche, dove tutti sono scappati da decenni, e hai percorso non meno di un chilometro di un viale alberato stile Beverly Hills, ti imbatti in uno schiacciasassi che, dopo aver cancellato ovili e uliveti, sta trasformando una distesa infinita di terra, in una pista da ballo. Il crocevia viario non aiuta l’orientamento, ma quel varco appena aperto tra le recinzioni “ecologiche” non lascia adito a dubbi: è qui lo sbarco americano in terra di Sardegna, a due passi dall’Oasi del Wwf, alle pendici di Monte Arcosu. L’incedere degli Yankee è felpato, segnato da un’apnea finanziaria rimasta segreta sino ad oggi, quando emerge in tutta la sua virulenza snocciolando incroci finanziari e operazioni d’alto bordo. L’ingresso al “podere” per adesso è vietato solo da una mano segnaletica di color nero che segna l’alt per i “turisti” non autorizzati. Il grande cartello in quadricromia, invece, è un rosario di società e responsabili, quasi dovessero costruire una centrale nucleare. Invece, no, devono distendere su quella terra migliaia e migliaia di pannelli solari, uno dei parchi fotovoltaici più grandi della Sardegna. Le cifre sono da capogiro: 866 mila metri quadri, 120 campi da calcio, uno affianco all’altro. Il cartello svela solo in parte i numeri di questa calata in terra d’Arcosu. Il nome del progetto è cifrato: «Impianto fotovoltaico denominato “GGP Solar Farm” di potenza di 69,52 megawatt da realizzarsi nei comuni di Uta e Assemini all’interno del perimetro del Consorzio industriale di Cagliari». Peccato che nell’atto deliberativo con il quale la giunta regionale, quella sarda, dà il via libera all’operazione si possano leggere affermazioni ben poco industriali: «considerando che sono stati citati ulivi tra gli elementi schermanti, si rammenta che il proponente, al momento di attuazione del progetto dovrà uniformarsi alle disposizioni sull’espianto e reimpianto degli ulivi». È la forestale, però, a dare il colpo di grazia alla pretesa burocratica di spacciare quelle aree come industriali: è segnalata – è scritto nella delibera - «la presenza di fasce frangivento a eucalipto e cipresso, impiantate a protezione di colture agrarie». Come dire, fate pure, distruggete tutto, ma quelle piante ciclopiche servivano alla “riforma agraria”. E, invece, ora, in quel proscenio para-industriale, è sbarcata come uno tsunami “Sonnedix”. Non una delle tante società che stanno facendo man bassa di terre da “solarizzare” in cambio di un vortice infinito di denari di Stato. Sonnedix è molto di più. In tutti i modi hanno cercato di far passare inosservata l’operazione Sardegna, ma alla fine, nei pertugi della finanza mondiale, il velo è calato. In realtà, i protagonisti di questa vicenda americana, hanno gestito il castello societario con incastri da far impallidire le scatole cinesi, società nate e sepolte nel giro di 150 giorni, giusto il tempo di comprare tutto lo scacchiere di Monte Arcosu e farlo “sparire” in altre società appena costituite. Una giravolta di società che nel cartello di cantiere si sintetizza con la «Sandalia Solar Farm» , una srl da diecimila euro, registrata nel gotha di Corso Buenos Aires a Milano.

Lo sbarco americano

Dietro questa “sardizzata” società c’è, però, il numero uno della finanza mondiale: la JP Morgan, la colossale banca d’affari americana che in Sardegna conosce solo vento e sole. Quando il portafoglio stelle e strisce incamera l’operazione sarda compare la “Sonnedix San Rocco”, la società delegata a chiudere la compravendita dei progetti approvati e delle quote azionarie. La costituiscono il 23 giugno del 2022, la fanno sparire con una fusione il 25 novembre dello scorso anno. Il registro camerale di Milano confessa : società cancellata. Il “dopo” operazione è un intreccio di passaggi finanziari vergati da un notaio di Milano che annota passaggi di quote azionarie da mille e una notte, quasi che l’Enalotto fosse un gioco per dilettanti della fortuna. Quando Sonnedix – produttore globale di energia solare indipendente (IPP) controllato da JP Morgan Asset Management – completa l’acquisizione dell’intero capitale sociale di Sandalia Green srl e Green Karalis srl, proprietarie di due impianti fotovoltaici in sviluppo in Sardegna, in quel proscenio agricolo ci sono ancora ulivi e ovili. Nel pacchetto ci finisce anche un impianto fotovoltaico di 48,30 megawatt da piazzare tra Noragugume e Bolotana, nella piana di Ottana. I piani finanziari americani mettono nero su bianco gli obiettivi: gli impianti sarebbero dovuti entrare in esercizio entro la seconda metà del 2023 e la prima metà del 2024. I cantieri sono in ritardo, le recinzioni cominciano a delimitare le aree, già tracciate da quelle fasce frangivento che ora disturbano il sole americano in terra sarda.

I misteri del sole d’Arcosu

Il piano finanziario dell’operazione è già scritto: appena in esercizio incasseranno subito la tariffa “regalo” incentivante del Gestore dei Servizi Energetici. Nelle note a margine del progetto raccontano di una produzione di energia sufficiente per oltre 80.000 abitazioni. Peccato, però, che in Sardegna non resterà niente, né energia elettrica, né lavoro. I denari, moltissimi, voleranno negli Stati Uniti, a foraggiare i fondi della più grande banca d’affari del mondo. Il sole di Monte Arcosu ora è degli americani. Negli atti notarili, però, si celano molti misteri e tanti affari segreti.

(1.continua)

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